Il SIC “Acquafredda di Maratea” si trova lungo la costa tirrenica della Basilicata, nel Comune di Maratea (PZ), al confine con la Regione Campania.
Il sito è rappresentato da una porzione di costa di straordinario interesse naturalistico e paesaggistico a scala regionale, in quanto notevolmente diversificato in senso ambientale, elemento ben descritto dai diversi habitat presenti quali rupi, garighe, comunità forestali (a sclerofille e caducifoglie), oltre ad alcuni habitat marini caratteristici fra i quali un’estesa prateria a Posidonia oceanica. Il sito presenta un’oscillazione altimetrica notevole (quota massima M.te Spina, 705 m s.l.m.) e ospita ben 12 habitat di interesse comunitario (di cui 3 prioritari), che caratterizzano il territorio per l’elevata diversità di habitat se rapportati ad una superficie relativamente modesta (552 ha). L’area presenta uno stato di conservazione soddisfacente, con limitata diffusione di centri abitati e di infrastrutture, soprattutto se confrontato con i tratti adiacenti della costa campana e calabra.
Di particolare importanza risulta la presenza della Primula palinuri, endemismo condiviso con i tratti costieri tirrenici della Campania, Basilicata e Calabria. Tra le specie floristiche di notevole interesse conservazionistico, si segnalano, inoltre, Juniperus phoenicea ssp. turbinata, considerata rara e vulnerabile in Basilicata e Atamantha ramosissima, da considerarsi vulnerabile a scala regionale (Fascetti & Navazio, 2007).
IL TERRITORIO
CARATTERI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI. La costa di Maratea è limitata ad Est dai rilievi del Monte Coccovello fino al Monte Maiorino, a Nord dai rilievi del Monte Spina e del Monte Palladino (confine con la Campania), ad Ovest dal Mar Tirreno e a Sud dalla porzione terminale della valle del Fiume Noce, che segna il confine con la Calabria. Si estende per circa 30 Km e interessa un territorio di oltre 6700 ettari, caratterizzato da un tratto di Appennino lucano, parallelo alla linea di costa, con oscillazioni altimetriche notevoli (M.te Coccovello, 1505 m) ed una morfologia particolarmente accentuata. Le formazioni geologiche presenti nell’area sono riferibili essenzialmente ad unità stratigrafico-strutturali derivanti dalla Piattaforma Campano-Lucana e dall’Unità Liguride (flysch liguride), al di sopra delle quali sono presenti potenti coperture detritiche di origine recente, oltre a depositi alluvionali che assumono notevoli spessori in corrispondenza delle aree golenali del Fiume Noce (Cotecchia et al., 1990). L’area, quindi, risulta caratterizzata prevalentemente da terreni mesozoici e terziari carbonatici, ben rappresentati nelle strutture dei rilievi di Monte Coccovello e dalla serie dei Monti di Trecchina, tra i quali si impostano anche successioni di carattere flyscioide. Le rocce calcaree affioranti, anche se riferibili al dominio appenninico di piattaforma carbonatica, se ne differenziano per i caratteri deposizionali e per l’evoluzione tettonica e sedimentaria. Le strutture sedimentarie che condizionano gran parte della morfostruttura dei monti di Maratea, appartengono alla successione carbonatica Bulgheria-Verbicaro, unità costituita da dolomie nerastre, massive o stratificate, del Lias inferiore - Trias medio, e alla successione Alburno-Cervati, rappresentata per larghi settori da calcari grigi e nerastri con intercalazioni dolomitiche del Cretaceo superiore – Lias, entrambe derivanti dalla deformazione della Piattaforma Campano-Lucana. L’Unità Alburno-Cervati è ampiamente diffusa in Italia meridionale, affiora nei monti di Lauria, nell’area dei Monti Alburni e dei Monti Picentini, nonché nell’area del Monte Pollino, mentre, nel territorio in esame emerge diffusamente in corrispondenza di Monte La Serra, del Monte Coccovello, e presso Castrocucco (Cotecchia et al., 1990). Il complesso assetto strutturale presente a Maratea è frutto delle diverse fasi tettoniche che hanno coinvolto le unità presenti. Nella sua costituzione un ruolo fondamentale sembra averlo avuto la lineazione tettonica chiamata Linea del Pollino, corrispondente ad una zona di taglio profonda, continua dalle aree tirreniche a quelle ioniche; l’attività di tale zona di taglio sarebbe perdurata almeno a partire da Miocene inferiore fino al Pleistocene medio-superiore (Cotecchia et al., 1990). L’intera dorsale carbonatica risulta fortemente tettonizzata da una serie di faglie con direzione SO-NE e da un sovrascorrimento che mette in contatto le due unità. Nell’area di Maratea l’accavallamento delle diverse unità è presente a Nord della congiungente Maratea-Brefaro-Piano dei Peri, ed interessa quindi l’area corrispondente alla Valle di Maratea, al M.Crivo e a tutto il territorio ad Est di esso. A Sud della suddetta congiungente prevale, invece, il contatto diretto tra l’Unità Bulgheria-Verbicaro e la sottostante Unità Alburno-Cervati (D’Ecclesiis et al., 1993). Da tutto ciò emerge come gran parte del territorio mostri evidenti segni di una complessa evoluzione geomorfologica che seppur innescata in tempi remoti, non sembra essersi ancora del tutto esaurita. I fenomeni ancora in atto risultano sostanzialmente diversi fra loro, manifestandosi sottoforma di rotture e deformazioni gravitative di versante, oltre a movimenti franosi propriamente detti (Cotecchia et al., 1990). Un ruolo significativo è dato dal sistema di faglie presenti in tutto il comune di Maratea, ed in particolare la faglia diretta, a direzione N-S immergente verso ovest con una inclinazione di 70°, che borda il versante occidentale del M. Crivo delimitando il fianco destro della Valle di Maratea. Questa mostra una chiara prosecuzione a mare ed una intensa attività ancora in atto, cui si associa un significativo canyon sottomarino, chiamato dai pescatori locali “Fossate”, il quale attraverso un attivo sistema di canali che vanno dalla linea di costa verso il mare aperto, raccoglie e convoglia verso il largo buona parte dell’attuale carico sedimentario (Colantoni et al., 1997) . Lungo la costa, generalmente alta e frastagliata, il substrato mesozoico e la copertura clastica presentano terrazzamenti di origine marina e/o testimonianze di linee di riva distribuiti a diverse quote e correlabili con le più recenti oscillazioni glacio-eustatiche pleistocenico-oloceniche del livello marino, tracce ben osservabili in tutta la zona (Carobene & Dai Pra, 1991). Ne sono un esempio il terrazzo marino, in parte ricoperto da brecce di pendio, presente nella porzione meridionale dell’area portuale di Maratea, o quello posto a NW della spiaggia di Fiumicello (Ogliastro-Cersuta) che presenta peculiari depositi calcarenitici. Dal punto di vista strettamente morfologico, le pendenze maggiormente ricorrenti risultano quelle relative alle classi mediane, comprese in un intervallo che va da 20° a 40°. Le pendenze sono distribuite in corrispondenza ai pendii più significativi presenti ai lati delle valli e lungo la costa, a formare delle falesie che si ritrovano a Nord e a Sud di Maratea, lungo il litorale. I valori più alti relativamente alle energie di rilievo, sono distribuiti sia lungo le coste, in corrispondenza delle alte pendenze, sia in corrispondenza dei rilievi carbonatici. C’è da segnalare l’area del versante orientale della valle di Maratea, che presenta alti valori di energia del rilievo, da considerare relativi all’azione delle deformazioni gravitative profonde di versante. Analizzando, infine, la distribuzione delle classi di esposizione, le più ricorrenti risultano quelle verso Ovest e Sud-Ovest, seguite da quelle relative a Sud e Sud-Est (Cecili et al. in Caneva & Cutini, 2009).
IL CLIMA
I caratteri climatici del tratto costiero tirrenico della Basilicata risultano fortemente influenzati dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio, legate essenzialmente ad un’accentuata morfologia del rilievo ed alle quote elevate che si raggiungono a pochissima distanza dalla linea di riva. Analogamente ad altri territori costieri, nonostante le poche stazioni termopluviometriche disponibili (Maratea e Trecchina, mentre per Acquafredda sono disponibili unicamente i dati pluviometrici), è possibile evidenziare un carattere climatico tipicamente mediterraneo, con periodo di aridità estiva esteso da metà Giugno a metà Agosto. L’andamento delle precipitazioni (dal mare all’entroterra) mostra una certa articolazione in quanto in posizione arretrata rispetto alla linea di costa si evidenzia una piovosità decisamente maggiore per gran parte dell’anno. L’entità delle precipitazioni medie annue è risultata di 1250 mm per la stazione di Maratea, di 1214.4 mm per Acquafredda, mentre raggiungono i 1830 mm a Trecchina, che costituisce un valore decisamente elevato se confrontato con analoghi siti costieri dell’Italia meridionale. Relativamente ai valori termici nella stazione di Maratea si registrano temperature medie del mese più freddo (gennaio) intorno a 8.00 °C e massime nel mese più caldo (agosto) di 22.50 °C, con una media annuale di 14.77 °C. La stazione di Trecchina posta a quote più elevate mostra valori termici minori con temperatura media del mese più freddo (gennaio) intorno a 5.40 °C e massime nel mese più caldo (Luglio) di 22.20 °C, con una media annuale di 12.98 °C (Caneva et al., 1997; Caneva & Cancellieri in Caneva & Cutini, 2009). Utilizzando una delle classificazioni bioclimatiche correntemente in uso in ambito ecologico e fitosociologico (classificazioni sensu Rivas-Martinez), che utilizza appositi indici in grado di “misurare” l’appartenenza delle stazioni esaminate all’interno di categorie prefissate, si nota come l’area in esame presenti un bioclima di tipo mediterraneo pluviostagionale oceanico, con termotipo mesomediterraneo e ombrotipo umido, che, in senso generale, corrisponde ad un andamento climatico tipicamente mediterraneo (con aridità estiva) ma con una quantità medio-elevata di precipitazioni autunnali ed invernali.
Il SIC di Acquafredda di Maratea costituisce un territorio costiero di straordinario interesse naturalistico e paesaggistico, in quanto notevolmente diversificato in senso ambientale, elemento ben descritto dai diversi ambienti presenti quali rupi, garighe, comunità forestali (a sclerofille e caducifoglie e miste), oltre ad alcuni habitat marini caratteristici, fra i quali si segnala un’estesa prateria a Posidonia oceanica. Presenta un’oscillazione altimetrica notevole (quota massima M.te Spina, 705 m slm) e ospita ben 12 habitat (di cui 3 prioritari), che vede, pertanto, un’elevata concentrazione di habitat relativamente alla superficie del territorio del SIC (552 ha).
Il presente aggiornamento ha permesso di incrementare ben 8 habitat rispetto ai dati del 2003, ampliamento reso possibile anche dalla consultazione del Manuale di interpretazione degli Habitat italiani (Biondi et al., 2009). E’ il caso di 8210 (Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica), habitat fortemente caratterizzante il SIC costituito da comunità casmofitiche di rocce carbonatiche (che possono andare dal livello del mare fino alle aree cacuminali), in precedenza non catalogato nell’aggiornamento del 2003. Nello specifico è possibile indicare il sottotipo 61.14 (Comunità dell’Italia meridionale (Dianthion rupicolae), cenosi che risultano ben rappresentate nel SIC di Acquafredda. Per quanto riguarda gli habitat 1170 (Scogliere) e 8330 (Grotte marine sommerse e semisommerse), le specie caratterizzanti e le valutazioni relative alla loro rappresentatività, alla superficie relativa, al grado di conservazione e alla valutazione globale, sono relativi ai contenuti del Progetto “Implementazione dei SIC marini italiani” (Convenzione SIBM/MiATTM, 2008/2009), pur essendo indicati a in modo dubitativo per la Basilicata (Biondi et al., 2009).
Tra gli elementi di particolare valore paesaggistico, si segnalano le rupi interne che vanno da Torre de’ Crivi a Monte Spina, mentre, i terrazzamenti in località Vocca u Crivu e il Tavolaro, presentano elevato interesse documentario in quanto si possono ammirare esemplari di notevoli dimensioni di rosacee arboree quali Pyrus amygdaliformis inseriti in un paesaggio modellato da un uso tipicamente pastorale. In questa zona risultano di particolare interesse anche le formazioni forestali a prevalenza di querce (Quercus sp.pl.), che presentano una biodiversità strutturale (e tassonomica) molto elevata. Attualmente, a fronte dei cambiamenti di uso del suolo, molte porzioni territoriali in passato utilizzate a fini agricoli, oggi risultano abbandonate o ancora parzialmente utilizzate per il pascolo del bestiame.
Il territorio del SIC presenta gli effetti di un pascolamento di diverso tipo (bovino, equino, ovino e caprino) prevalentemente concentrato in corrispondenza degli aspetti sommitali (M.te Spina), sia in ambiti forestali che in quelli prativi. Questo settore del SIC viene a trovarsi lungo la rotta di percorrenza del bestiame che dalle aree costiere della Campania meridionale (Sapri, dato confermato da alcune interviste ai locali) salgono verso l’entroterra, che per il settore lucano è rappresentato dal Monte Coccovello, tutt’oggi ancora utilizzato a fini pastorali per la transumanza estiva (degli ovini e dei bovini). Il fuoco rappresenta una costante minaccia soprattutto in corrispondenza delle porzioni costiere di quote più limitate. A conferma dell’esistenza di questo disturbo sulla componente vegetale, si è potuto documentare l’impatto determinato dal passaggio del fuoco nel settembre 2009, in particolar modo (ma non solo) sugli impianti artificiali a conifere in prossimità dell’abitato di Acquafredda (Foto 1). La presenza stessa in ampie porzioni del SIC dell’ampelodesmeto (loc. Chianette), è la dimostrazione del ripetuto passaggio del fuoco su queste superfici nel corso degli anni, elemento alla base della costituzione stessa di queste praterie secondarie a carattere steppico. Analogamente al SIC di Marina di Castrocucco, in corrispondenza di versanti molto acclivi però, il passaggio ripetuto del fuoco può determinare un’erosione accentuata (e la perdita) del suolo, elemento estremamente pericoloso in presenza di determinate litologie e soprattutto in corrispondenza di stazioni ad elevata pluviometria (come la costiera tirrenica lucana). Inoltre, ma non ultime, tutte le problematiche legate ai dissesti provocati dal passaggio del fuoco in aree prossime ai centri abitati, oltre ai fenomeni erosivi e la caduta di materiale clastico direttamente sulla strada costiera (e/o sulle abitazioni). Il passaggio ripetuto del fuoco (evento comune che si ripete pressoché ogni anno in differenti settori di questo tratto costiero), secondo quanto raccolto da interviste ai locali e dalle osservazioni effettuate sulla vegetazione, cfr. relazione sugli incendi), non sembra alterare sostanzialmente l’habitat 5330 (Arbusteti termo-mediterranei e pre-desertici, con particolare riguardo all’ampelodesmeto), esemplificato da un tipo di vegetazione fortemente correlata al fuoco stesso, così come per l’habitat 6220 (Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea), habitat presenti in forme di mosaico più o meno complesso. Allo stesso tempo però, si deve considerare che il passaggio del fuoco può ridurre fortemente la capacità di evoluzione dinamica degli arbusteti a Pistacia lentiscus verso formazioni a macchia (alta) più evoluta, e successivamente (negli anni) a forme di foresta (più o meno strutturata) inquadrabili all’interno dell’habitat Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (9340).
Tale evoluzione è assolutamente auspicabile per l’area del SIC attraversata dal fuoco, allo scopo di ripristinare i naturali processi dinamici della vegetazione, avvicinandosi verso la potenzialità naturale di questi siti, ottenibile attraverso la ripresa degli stadi arbustivi a lentisco (e il loro progressivo aumento di copertura e di strutturazione)(Caneva et al., 2008). La riattivazione (e l’eventuale facilitazione) di tali processi, assicurerebbe nel tempo l’ampliamento dello stadio di macchia/boscaglia/foresta a sclerofille (con leccio dominate), inquadrabili all’interno dell’habitat Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (9340).
FLORA:
Di particolare interesse le stazioni rupicole dell’endemica Primula palinuri e quelle di Dianthus rupicola (entrambi indicate nell’Allegato II della Direttiva), presenti in ambito regionale unicamente nel tratto costiero tirrenico della Basilicata. Si segnala il notevole interesse conservazionistico di queste due entità, menzionate tra le specie dell’Allegato I della Convenzione di Berna, e tra le specie a rischio d’estinzione della flora vascolare italiana (Scoppola et al., 2005; Fascetti & Navazio, 2007). Tra le specie floristiche di notevole interesse conservazionistico, si segnalano, inoltre, Juniperus phoenicea ssp. turbinata, considerata rara e vulnerabile in Basilicata, e Atamantha ramosissima da considerarsi vulnerabile a scala regionale (Fascetti & Navazio, 2007). Per quanto riguarda le diverse altre entità floristiche d’interesse segnalate (Lavatera maritima, Lavatera arborea, Vitex agnus-castus, Campanula fragilis, Juniperus phoenicea ssp. turbinata, Teucrium fruticans, Euphorbia dendroides, Quercus virgiliana, Thymelea tartonraira, Asphodeline liburnica, Cardamine montelucci, Edraianthus graminifolius, Lomelosia crenata), trattasi di specie interessanti in quanto uniche stazioni regionali e/o taxa di particolare interesse per l’Italia meridionale.
FAUNA:
Il SIC di Acquafredda di Maratea è di rilevante interesse faunistico per la presenza di habitat naturali e semi-naturali, per la vicinanza alla costa e, quindi, per la localizzazione su importanti “rotte migratorie”. Anche il pascolo si configura quale attività umana compatibile con la presenza della fauna del SIC. Tutto ciò determina la presenza di specie di rilevante interesse naturalistico e conservazionistico. Il SIC è per l’avifauna un importante sito riproduttivo ed un’area di transito e di sosta durante le migrazioni.
Discrete sono le presenze dei rettili per i quali l’area possiede rilevanti potenzialità.
Non è un sito significativo per gli anfibi e ciò è imputabile alla mancanza d’acqua.
Anche rispetto alla presenza dei mammiferi non sono presenti peculiarità di rilievo e ciò è imputabile alle caratteristiche ambientali ed all’antropizzazione dell’area. Si segnala la presenza dello scoiattolo variabile (Callosciurus finlaysonii), specie alloctona originaria del sud-est asiatico. Qui lo scoiattolo fu introdotto all'inizio degli anni ottanta con poche coppie. Oggi ha colonizzato la fascia costiera tirrenica della Basilicata e un breve tratto di quella della Campania per una superficie di circa 26 Km2 . Esiste, inoltre, il rischio di colonizzazione dei boschi di latifoglie dell’interno (Aloise & Bertolino, 2005).
L’attuale perimetro del SIC include solo in parte gli habitat naturali significativi ai fini della conservazione della fauna presente. Le specie segnalate necessitano di un mosaico ambientale più complesso e di maggiore estensione rispetto a quello attualmente incluso nel perimetro, elemento che giustifica il possibile aggiornamento dei confini e ampliamento della sua superficie.
Si evidenziano quali maggiori criticità l’impatto antropico, nelle forme di pressione turistica e di incendi. L’area insiste in un tratto costiero di particolare bellezza naturalistica dove si osservano concentrazioni di bagnanti in prossimità dei luoghi accessibili. Ciò ha prodotto lo sviluppo di insediamenti abitativi in forma di centri urbani e/o di case sparse. Gli incendi hanno determinato la scomparsa di talune specie stazionarie (rettili e mammiferi), sia per effetto diretto che indiretto conseguente alla modificazione degli habitat.
Si raccomanda l’assoluta immodificabilità dei luoghi e il mantenimento delle pratiche zootecniche esistenti; ciò per tutelare le specie presenti e favorire il ritorno di alcune oggi potenziali. Per le specie silvane è opportuna la gestione del bosco che preveda il mantenimento di alberi morti, in particolare per la nidificazione dei picchi e la conversione delle pinete in macchia/bosco. In relazione alla presenza dello scoiattolo si ritiene utile avviare uno studio per quantificarne la presenza, accertare se esiste competizione con altre specie arboricole o semi arboricole e quindi intraprendere scelte gestionali della specie alloctona.
Nella tabella seguente sono riportati i dati relativi all’uso del suolo all’interno del sito, secondo la classificazione Corine Land Cover utilizzata all’interno del presente lavoro (III livello per le zone a minore interesse ecologico naturalistico, V livello per le zone a maggiore interesse ecologico naturalistico).
Codice
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Descrizione categoria Corine Land Cover
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Superficie (ettari)
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112
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Superfici artificiali
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4
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331
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Spiagge
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3
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333
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Zone aperte con vegetazione rada o assente
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2
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523
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mare
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329
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3112
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Bosco a dominanza di Quercus pubescens s.l.
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27
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3211
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Praterie a dominanza di Bromus erectus
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4
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3222
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Arbusteto a dominanza di Pyrus amygdaliformis e Prunus spinosa
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8
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3321
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Vegetazione casmofitica delle pareti interne
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17
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3322
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Vegetazione casmofitica di falesia costiera
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24
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31112
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Bosco a dominanza di Quercus ilex e Fraxinus ornus
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18
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31211
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Rimboschimento a conifere non native
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24
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32321
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Macchia bassa a dominanza di Myrtus communis e Pistacia lentiscus
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53
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32322
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Gariga a dominanza di Erica multiflora e Camaecytisus spinescens
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23
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32324
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Gariga a dominanza di Ampelodesmos mauritanicus
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17
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Superficie totale
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552
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Le prime frequentazioni umane attestate sul territorio di Acquafredda di Maratea risalgono al Paleolitico Medio, epoca a cui sono stati datati gli insediamenti in alcune grotte sul litorale costiero compreso tra la frazione Acquafredda e Sapri, mentre le origini del centro abitato risultano incerte, anche se la maggior parte degli storici fanno risalire l'evento al XVIII secolo, quando il generale benessere economico di Maratea portò alla formazione e all'ingrandimento di nuovi centri urbani. Risulta invece antecedente la costruzione delle torri di avvistamento per difendere la costiera del Regno di Napoli dai Saraceni: il viceré Pedro da Toledo ordina la costruzione di oltre trecento torri anti-corsare, di cui sei, costruite tra il 1566 e il 1595, sono dislocate sul litorale di Maratea e due di esse presenti all’interno o limitrofe al sito di Acquafredda (Torre de’ Crivi e Torre Apprezzami l’Asino).
La vocazione del territorio in epoca medioevale e fino al 1800 è prevalentemente agricola. Il viaggiatore Lorenzo Giustiniani, sulla fine del secolo, visitò Maratea e ne descrisse le attività nella sua opera Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli, edito nel 1802:
« Gli abitanti ascendono al numero di circa 3800 addetti all'agricoltura, alla pastorizia, facendosi de' buoni formaggi, ed hanno ancora l'industria de' bachi da seta, e di fare calze di cotone, e di filo, che vendono ad altri paesi della provincia. Le donne son molto dedite alla fatica si' della campagna; che a quella del trasporto di varj generi. In Napoli quelli, che hanno le botteghe di formaggio per lo più sono di Maratea, come anche i pizzicagnoli. »
« Il territorio di questa città non è molto fertile, perché assai petroso, nulla di meno fa del buon vino, specialmente in alcuni luoghi, ed ogni altra produzione ancora per forza d'industria. È abbondante di acqua, e vi sono molti molini, gualchiere, che recano del guadagno a quella popolazione. Il massimo prodotto è quello dell'olio. Il detto territorio abbonda di mortelle, le quali ridotte in polvere vendono altrove per la concia de' cuoj. Gli ortaggi vi si coltivano con successo e similmente gli agrumi, e i fichi d'India, che ne' mesi estivi serve per alimento della povera gente, come anche le carrube. Vi è la caccia di lepri, volpi, lupi, e di più specie di pennuti, e il mare dà abbondante pesca. »
La passata vocazione agricola è ben visibile nella zona alta di Fonte La Spina, dove vi sono suggestivi e interessanti terrazzamenti ora abbandonati ma un tempo coltivati a grano, ortaggi e soprattutto vitati, con piante di olivo e di carrubo utilizzato sia per l’alimentazione del bestiame che umana.