Il SIC “Marina di Castrocucco” si trova lungo la costa tirrenica della Basilicata, nel Comune di Maratea (PZ), a poche centinaia di metri dal confine con la Regione Calabria. Il sito è caratterizzato da una notevole varietà di ambienti, da quelli marini costieri, caratteristici di tutto il meridione, sino a quelli appenninici (di tipo mediterraneo) presenti in alcuni aspetti caratteristici sulla sommità della Serra di Castrocucco, dove si raggiungono le quote più elevate (743 m s.l.m.).
Il territorio presenta uno stato di conservazione soddisfacente, con limitata diffusione di centri abitati e di infrastrutture, soprattutto se confrontato con i tratti costieri adiacenti in Campania e in Calabria.
IL TERRITORIO
CARATTERI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI. La costa di Maratea è limitata ad Est dai rilievi del Monte Coccovello fino al Monte Maiorino, a Nord dai rilievi del Monte Spina e del Monte Palladino (confine con la Campania), ad Ovest dal Mar Tirreno e a Sud dalla porzione terminale della valle del Fiume Noce, che segna il confine con la Calabria. Si estende per circa 30 Km e interessa un territorio di oltre 6700 ettari, caratterizzato da un tratto di Appennino lucano, parallelo alla linea di costa, con oscillazioni altimetriche notevoli (M.te Coccovello, 1505 m) ed una morfologia particolarmente accentuata. Le formazioni geologiche presenti nell’area sono riferibili essenzialmente ad unità stratigrafico-strutturali derivanti dalla Piattaforma Campano-Lucana e dall’Unità Liguride (flysch liguride), al di sopra delle quali sono presenti potenti coperture detritiche di origine recente, oltre a depositi alluvionali che assumono notevoli spessori in corrispondenza delle aree golenali del Fiume Noce (Cotecchia et al., 1990). L’area, quindi, risulta caratterizzata prevalentemente da terreni mesozoici e terziari carbonatici, ben rappresentati nelle strutture dei rilievi di Monte Coccovello e dalla serie dei Monti di Trecchina, tra i quali si impostano anche successioni di carattere flyscioide. Le rocce calcaree affioranti, anche se riferibili al dominio appenninico di piattaforma carbonatica, se ne differenziano per i caratteri deposizionali e per l’evoluzione tettonica e sedimentaria. Le strutture sedimentarie che condizionano gran parte della morfostruttura dei monti di Maratea, appartengono alla successione carbonatica Bulgheria-Verbicaro, unità costituita da dolomie nerastre, massive o stratificate, del Lias inferiore - Trias medio, e alla successione Alburno-Cervati, rappresentata per larghi settori da calcari grigi e nerastri con intercalazioni dolomitiche del Cretaceo superiore – Lias, entrambe derivanti dalla deformazione della Piattaforma Campano-Lucana. L’Unità Alburno-Cervati è ampiamente diffusa in Italia meridionale, affiora nei monti di Lauria, nell’area dei Monti Alburni e dei Monti Picentini, nonché nell’area del Monte Pollino, mentre, nel territorio in esame emerge diffusamente in corrispondenza di Monte La Serra, del Monte Coccovello, e presso Castrocucco (Cotecchia et al., 1990). Il complesso assetto strutturale presente a Maratea è frutto delle diverse fasi tettoniche che hanno coinvolto le unità presenti. Nella sua costituzione un ruolo fondamentale sembra averlo avuto la lineazione tettonica chiamata Linea del Pollino, corrispondente ad una zona di taglio profonda, continua dalle aree tirreniche a quelle ioniche; l’attività di tale zona di taglio sarebbe perdurata almeno a partire da Miocene inferiore fino al Pleistocene medio-superiore (Cotecchia et al., 1990). L’intera dorsale carbonatica risulta fortemente tettonizzata da una serie di faglie con direzione SO-NE e da un sovrascorrimento che mette in contatto le due unità. Nell’area di Maratea l’accavallamento delle diverse unità è presente a Nord della congiungente Maratea-Brefaro-Piano dei Peri, ed interessa quindi l’area corrispondente alla Valle di Maratea, al M.Crivo e a tutto il territorio ad Est di esso. A Sud della suddetta congiungente prevale, invece, il contatto diretto tra l’Unità Bulgheria-Verbicaro e la sottostante Unità Alburno-Cervati (D’Ecclesiis et al., 1993). Da tutto ciò emerge come gran parte del territorio mostri evidenti segni di una complessa evoluzione geomorfologica che seppur innescata in tempi remoti, non sembra essersi ancora del tutto esaurita. I fenomeni ancora in atto risultano sostanzialmente diversi fra loro, manifestandosi sottoforma di rotture e deformazioni gravitative di versante, oltre a movimenti franosi propriamente detti (Cotecchia et al., 1990). Un ruolo significativo è dato dal sistema di faglie presenti in tutto il comune di Maratea, ed in particolare la faglia diretta, a direzione N-S immergente verso ovest con una inclinazione di 70°, che borda il versante occidentale del M. Crivo delimitando il fianco destro della Valle di Maratea. Questa mostra una chiara prosecuzione a mare ed una intensa attività ancora in atto, cui si associa un significativo canyon sottomarino, chiamato dai pescatori locali “Fossate”, il quale attraverso un attivo sistema di canali che vanno dalla linea di costa verso il mare aperto, raccoglie e convoglia verso il largo buona parte dell’attuale carico sedimentario (Colantoni et al., 1997) . Lungo la costa, generalmente alta e frastagliata, il substrato mesozoico e la copertura clastica presentano terrazzamenti di origine marina e/o testimonianze di linee di riva distribuiti a diverse quote e correlabili con le più recenti oscillazioni glacio-eustatiche pleistocenico-oloceniche del livello marino, tracce ben osservabili in tutta la zona (Carobene & Dai Pra, 1991). Ne sono un esempio il terrazzo marino, in parte ricoperto da brecce di pendio, presente nella porzione meridionale dell’area portuale di Maratea, o quello posto a NW della spiaggia di Fiumicello (Ogliastro-Cersuta) che presenta peculiari depositi calcarenitici. Dal punto di vista strettamente morfologico, le pendenze maggiormente ricorrenti risultano quelle relative alle classi mediane, comprese in un intervallo che va da 20° a 40°. Le pendenze sono distribuite in corrispondenza ai pendii più significativi presenti ai lati delle valli e lungo la costa, a formare delle falesie che si ritrovano a Nord e a Sud di Maratea, lungo il litorale. I valori più alti relativamente alle energie di rilievo, sono distribuiti sia lungo le coste, in corrispondenza delle alte pendenze, sia in corrispondenza dei rilievi carbonatici. C’è da segnalare l’area del versante orientale della valle di Maratea, che presenta alti valori di energia del rilievo, da considerare relativi all’azione delle deformazioni gravitative profonde di versante. Analizzando, infine, la distribuzione delle classi di esposizione, le più ricorrenti risultano quelle verso Ovest e Sud-Ovest, seguite da quelle relative a Sud e Sud-Est (Cecili et al. in Caneva & Cutini, 2009).
IL CLIMA
I caratteri climatici del tratto costiero tirrenico della Basilicata risultano fortemente influenzati dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio, legate essenzialmente ad un’accentuata morfologia del rilievo ed alle quote elevate che si raggiungono a pochissima distanza dalla linea di riva. Analogamente ad altri territori costieri, nonostante le poche stazioni termopluviometriche disponibili (Maratea e Trecchina, mentre per Acquafredda sono disponibili unicamente i dati pluviometrici), è possibile evidenziare un carattere climatico tipicamente mediterraneo, con periodo di aridità estiva esteso da metà Giugno a metà Agosto. L’andamento delle precipitazioni (dal mare all’entroterra) mostra una certa articolazione in quanto in posizione arretrata rispetto alla linea di costa si evidenzia una piovosità decisamente maggiore per gran parte dell’anno. L’entità delle precipitazioni medie annue è risultata di 1250 mm per la stazione di Maratea, di 1214.4 mm per Acquafredda, mentre raggiungono i 1830 mm a Trecchina, che costituisce un valore decisamente elevato se confrontato con analoghi siti costieri dell’Italia meridionale. Relativamente ai valori termici nella stazione di Maratea si registrano temperature medie del mese più freddo (gennaio) intorno a 8.00 °C e massime nel mese più caldo (agosto) di 22.50 °C, con una media annuale di 14.77 °C. La stazione di Trecchina posta a quote più elevate mostra valori termici minori con temperatura media del mese più freddo (gennaio) intorno a 5.40 °C e massime nel mese più caldo (Luglio) di 22.20 °C, con una media annuale di 12.98 °C (Caneva et al., 1997; Caneva & Cancellieri in Caneva & Cutini, 2009). Utilizzando una delle classificazioni bioclimatiche correntemente in uso in ambito ecologico e fitosociologico (classificazioni sensu Rivas-Martinez), che utilizza appositi indici in grado di “misurare” l’appartenenza delle stazioni esaminate all’interno di categorie prefissate, si nota come l’area in esame presenti un bioclima di tipo mediterraneo pluviostagionale oceanico, con termotipo mesomediterraneo e ombrotipo umido, che, in senso generale, corrisponde ad un andamento climatico tipicamente mediterraneo (con aridità estiva) ma con una quantità medio-elevata di precipitazioni autunnali ed invernali
Il SIC di Marina di Castrocucco costituisce un territorio costiero di particolare interesse naturalistico e paesaggistico a scala regionale, in quanto notevolmente diversificato in senso ambientale, elemento ben descritto dai diversi ambienti presenti quali rupi costiere, pascoli, garighe, frammenti forestali (a sclerofille e caducifoglie), oltre ad alcuni habitat marini caratteristici. Presenta un’oscillazione altimetrica notevole (quota massima Serra di Castrocucco, 743 m s.l.m.) e ospita ben 12 habitat (di cui 3 prioritari). L’eterogeneità e il valore degli ambienti presenti nel territorio, risulta ancor più importante se si considera l’estensione relativamente ridotta del SIC (811 ettari circa).
Il presente aggiornamento ha permesso di incrementare ben 5 habitat rispetto ai dati del 2003, considerando, però, per quanto riguarda alcuni habitat, che questi non sono stati confermati nel presente aggiornamento in quanto è stato possibile verificare la loro reale esistenza tenendo conto delle nuove diagnosi floristiche e vegetazionali presenti nella versione del Manuale di interpretazione degli Habitat italiani (Biondi et al., 2009). E’ il caso di 6310 (Dehesas con Quercus spp. sempreverde) e di 9320 (Foreste di Olea e Ceratonia). Per quanto riguarda 6310, trattandosi di un habitat semi-naturale fortemente mantenuto dalle attività agro-zootecniche (allevamento brado ovi-caprino, bovino e suino), secondo il Manuale risulta caratterizzato da pascoli arborati a dominanza di querce sempreverdi (Quercus suber, Q.ilex, Q.coccifera) che si insediano in ambiti caratterizzati da pascoli mediterranei con specie della classe Poetea bulbosae; in tal senso è sembrato inappropriato il suo riconoscimento per la definizione delle comunità forestali a leccio presenti nel settore tirrenico in oggetto, mentre, l’habitat 9340 (Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia), sembra più appropriato in senso bioclimatico, floristico e fisionomico-strutturale (Biondi et al., 2009). Analogamente l’habitat 9320, trattandosi di formazioni arborescenti termo-mediterranee a dominanza di Olea europea var. sylvestris e Ceratonia siliqua, non sembra essere idoneo all’interpretazione dei popolamenti a carrubo estesi in tutto il tratto costiero in questione. Tali popolamenti, spesso inglobati all’interno delle leccete o presenti in corrispondenza di terrazzamenti abbandonati, pur rappresentando un elemento paesaggistico estremamente significativo in tutto il tratto costiero, vanno ricondotti a fasi passate di introduzioni a scopo alimentare. Da segnalare, inoltre, l’accezione dubitativa con cui questo habitat è citato per la Basilicata (Biondi et al., 2009). Per quanto riguarda gli habitat 1170 (Scogliere) e 8330 (Grotte marine sommerse e semisommerse), le specie caratterizzanti e le valutazioni relative alla loro rappresentatività, alla superficie relativa, al grado di conservazione e alla valutazione globale, sono relativi ai contenuti del Progetto “Implementazione dei SIC marini italiani” (Convenzione SIBM/MiATTM, 2008/2009), pur essendo indicati a in modo dubitativo per la Basilicata (Biondi et al., 2009).
La principale minaccia alla conservazione degli habitat segnalati è rappresentata dal frequente passaggio del fuoco (per cause antropiche), prevalentemente in corrispondenza delle porzioni territoriali a monte della strada costiera. La vegetazione prativa, costituita in prevalenza dal mosaico tra ampelodesmeti e comunità prative terofitiche, è strettamente dipendente dal passaggio del fuoco, che determina la trasformazione (ed il rallentamento) dell’evoluzione dinamica delle comunità e la semplificazione strutturale delle cenosi, in una “forma” di gariga (secondaria) semplificata a dominanza di Ampelodesmos mauritanicus. In corrispondenza di versanti mediamente acclivi però, il passaggio ripetuto del fuoco può determinare un’erosione accentuata (e la perdita) del suolo, elemento estremamente pericoloso in presenza di determinate litologie (come a Castrocucco), in corrispondenza di stazioni ad elevata pluviometria (come la costiera tirrenica lucana), e soprattutto in presenza di centri abitati posizionati alla base dei versanti. Il passaggio del fuoco (evento che si ripete in ogni stagione, secondo quanto raccolto da interviste ai locali e dalle osservazioni effettuate sulla vegetazione), non sembra alterare sostanzialmente l’habitat 5330 (Arbusteti termo-mediterranei e pre-desertici), esemplificato da un tipo di vegetazione fortemente correlata al fuoco stesso (ampelodesmeto) e ben rappresentata in tutto il SIC (ed in tutto il settore tirrenico della Basilicata).
Il SIC Marina di Castrocucco presenta inoltre gli effetti di un pascolamento bovino concentrato prevalentemente negli aspetti sommitali della Serra di Castrocucco (pascoli secondari), e, parzialmente, all’interno del bosco. Tale attività non risulta di particolare gravità e solo saltuariamente sono stati riscontrati effetti significativi sulla vegetazione. La presenza del pascolo influenza indubbiamente l’evoluzione di questo tipo di vegetazione, rallentando i naturali processi di successione secondaria che prevederebbero la trasformazione dei pascoli in arbusteti e successivamente in boschi, secondo il modello classico di progressiva articolazione strutturale lungo la successione. L’azione del pascolamento presenta quindi aspetti positivi sul mantenimento di habitat quali gli Arbusteti termo-mediterranei e pre-desertici (5330) e soprattutto le Formazioni erbose secche semi-naturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (6210), ma, allo stesso tempo, riduce la capacità di evoluzione degli ecosistemi e i processi dinamici naturali di trasformazione degli arbusteti a Pistacia lentiscus verso formazioni a macchia (alta) più evolute, inquadrabili all’interno dell’habitat delle Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (9340).
FLORA:
Dal punto vista floristico, di particolare interesse l’importante stazione dell’endemica Primula palinuri (specie d’Allegato II della Direttiva), presente in ambito regionale unicamente nel tratto costiero tirrenico della Basilicata. Si segnala il notevole interesse conservazionistico di questa entità, tra l’altro, tra le specie dell’Allegato I della Convenzione di Berna e a rischio d’estinzione della flora vascolare italiana (Scoppola et al., 2005; Fascetti & Navazio, 2007). Tra le altre specie floristiche di notevole interesse conservazionistico, si segnalano Juniperus phoenicea ssp. turbinata, considerata rara e vulnerabile in Basilicata e Atamantha ramosissima da considerarsi vulnerabile a scala regionale (Fascetti & Navazio, 2007). Viene inoltre segnalata una specie degli habitat marini (Cytoseira amentacea), inserita negli allegati del Protocollo sulle Aree Specialmente Protette e la Diversità Biologica nel Mediterraneo (Convenzione di Barcellona del 1995)(Guala & Coppa, 2008). Molte altre entità meritano di essere menzionate (Centaurea cineraria, Euphorbia dendroides, Quercus virgiliana, Calystegia soldanella, Matthiola tricuspidata, Polygonum maritimum, Ornithogalum exscapum, Trifolium brutium), in quanto specie interessanti a seguito dell’esistenza di stazioni uniche a scala regionale e/o taxadi un certo interesse per l’Italia meridionale.
Tra gli individui di particolare valore, si segnalano esemplari particolarmente maestosi di Olea europea e Quercus virgiliana in località La Secca, con un esemplare avente circa 4 m di circonferenza e un’ampiezza di chioma di circa 25 m. A poca distanza, nell’isolotto antistante la spiaggia della Secca, si trova un nucleo molto denso e di estremo interesse vegetazionale di Juniperus phoenicea. Questo nucleo rappresenta la maggiore estensione di questo habitat riscontrata all’interno del sito e su tutta la costa tirrenica lucana.
FAUNA:
La presenza di habitat naturali e semi-naturali, di attività umane eco-compatibili (pascolo), la localizzazione geografica a ridosso della costa e, quindi, interposta su “rotte migratorie”, determina la presenza di specie di rilevante interesse naturalistico e conservazionistico. L’area si configura come importante sito riproduttivo ed area di sosta durante le migrazioni per numerose specie ornitiche.
Per quanto riguarda i mammiferi, una specie sicuramente significativa (anche se alloctona) è lo scoiattolo variabile (Callosciurus finlaysonii). E’ originaria del sud-est asiatico, mentre in Italia è stata introdotta all'inizio degli anni ottanta in due località: ad Acqui Terme, in Piemonte, e a Maratea, in Basilicata. Il rilascio, a metà degli anni ‘80, di 3-4 coppie è all’origine della popolazione che attualmente colonizza tutta la fascia costiera tirrenica della Basilicata e un breve tratto di quella della Campania. L’espansione della popolazione è stata rapidissima e, attualmente, interessa circa 26 Km2 di territorio, con forte rischio di colonizzazione dei boschi di latifoglie dell’interno (Aloise & Bertolino, 2005).
Per quanto riguarda l’entomofauna particolarmente rilevante è la presenza di Hermetia illucens, specie cosmopolita di origine nordamericana che è stata introdotta in Italia mediante i trasporti commerciali nel 1956. Il rinvenimento avvenuto nell’agosto 2008 in un’abitazione privata presso Marina di Maratea è la prima segnalazione di questa specie per la Basilicata e la sesta per l’Italia meridionale (Adamo, 2008).
Per quanto concerne la pertinenza ambientale di questi habitat per la fauna, si segnala come il perimetro attuale del SIC includa solo una porzione limitata degli habitat naturali e semi-naturali significativi ai fini della sua conservazione. Le specie segnalate necessitano di un mosaico ambientale più complesso e di maggiore estensione rispetto a quello attualmente incluso nel perimetro, elemento che giustifica il possibile aggiornamento dei confini e l’ampliamento della sua superficie.
Discrete sono le presenze dei rettili per i quali l’area possiede rilevanti potenzialità. Non è un sito significativo per gli anfibi e ciò è imputabile alla mancanza d’acqua. Anche rispetto alla presenza dei mammiferi non sono presenti peculiarità di rilievo e ciò è imputabile alle caratteristiche ambientali ed all’antropizzazione dell’area.
Le criticità maggiori evidenziate sono legate all’impatto antropico nelle forme di pressione turistica e di incendi. L’area insiste in un tratto costiero di particolare bellezza naturalistica dove si osservano concentrazioni di bagnanti in prossimità dei luoghi accessibili. Ciò ha prodotto lo sviluppo di insediamenti abitativi in forma di centri urbani e/o di case sparse. Gli incendi hanno determinato la scomparsa di talune specie stazionarie (rettili e mammiferi), sia per effetto diretto che indiretto conseguente alla modificazione degli habitat.
A tutela delle specie presenti e per favorire il ritorno di alcune di quelle potenziali, si raccomanda l’assoluta immodificabilità dei luoghi e il mantenimento delle pratiche zootecniche esistenti. Per le specie silvane è opportuna la gestione del bosco che preveda il mantenimento di alberi morti, in particolare per la nidificazione dei picchi e la conversione delle pinete in macchia/bosco. In relazione alla colonia di gabbiano presente sull’isola e per favorire l’insediamento di nuove specie, si consiglia l’interdizione all’uomo nei mesi di aprile, maggio e giugno. In relazione alla presenza dello scoiattolo si ritiene utile avviare uno studio per quantificarne la presenza, accertare se esiste competizione con altre specie arboricole o semi-arboricole e quindi intraprendere scelte gestionali della specie alloctona.
Nella tabella seguente sono riportati i dati relativi all’uso del suolo all’interno del sito, secondo la classificazione CORINE Land Cover utilizzata all’interno del presente lavoro (III livello per le zone a minore interesse naturalistico, V livello per le zone a maggiore interesse ecologico e naturalistico)
Codice |
Descrizione categoria CORINE Land Cover
|
Superficie (ettari)
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112
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Superfici artificiali
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34
|
131
|
Cava
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0
|
212
|
Seminativi
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1
|
324
|
Aree in evoluzione
|
12
|
331
|
Spiagge
|
0
|
333
|
Zone aperte con vegetazione rada o assente
|
3
|
523
|
mare
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101
|
3112
|
Bosco a dominanza di Quercus pubescens s.l.
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57
|
3211
|
Praterie a dominanza di Bromus erectus
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64
|
3221
|
Sodaglie a Pteridium aquilinum
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2
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3322
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Vegetazione casmofitica di falesia costiera
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11
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31111
|
Bosco a dominanza di Quercus ilex e Viburnum tinus
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11
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31112
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Bosco a dominanza di Quercus ilex e Fraxinus ornus
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62
|
31211
|
Rimboschimento a conifere non native
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26
|
32321
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Macchia bassa a dominanza di Myrtus communis e Pistacia lentiscus
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200
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32322
|
Gariga a dominanza di Erica multiflora e Chamaecytisus spinescens
|
150
|
32323
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Arbusteto a dominanza di Juniperus phoenicea
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1
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32324
|
Gariga a dominanza di Ampelodesmos mauritanicus
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76
|
Superficie totale
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811
|
All’interno del sito sono presenti anche elementi archeologici – architettonici di elevato valore, tra cui segnaliamo quello di Castello di Castrocucco, tra i più significativi. Si tratta di un nucleo costruito probabilmente intorno al IX secolo per difendersi dalle incursioni saracene, in quanto il nome del castello è già presente in una bolla di Alfano I, vescovo di Salerno, datata 1079. Altri storici locali lo vogliono più antico, facendone risalire la costruzione alla difesa di Blanda Julia. È noto poi che tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo il castello venne abbandonato, per poi essere ceduto, con l'annesso feudo (tra il 1470 e il 1660) prima ai nobili De Rosa e poi ai nobili Giordano. Durante il XVI secolo fu ristrutturato e ingrandito, e le sue mura furono modificate per ospitare delle bocche da fuoco. Dal 1664 fu tenuto dai Labanchi, famiglia calabrese proveniente da Bisignano che possedette il castello e il feudo fino al XIX secolo. Il castello di Castrocucco fu abbandonato definitivamente nel XVII secolo e attualmente presenta un pessimo stato di conservazione. Sono comunque ancora ben distinguibili alcuni elementi, come la porta di accesso, alcuni bastioni posti agli angoli della struttura e tratti del cinto di mura. Nei pressi del castello si trovano inoltre le rovine un antico borgo, sviluppatosi probabilmente in seguito all'edificazione della struttura medioevale. Lo storico Michele La Cava, che effettuò un sopralluogo al castello nel 1891, così lo descrive:
« Il castello un tempo dovea essere ben grande, ma ora è tutto in rovina; poteva contenere un trenta case, addossate all'interno del muro di cinta che è ben alto. In mezzo al castello esiste un vano o cortile scosceso; nell'alto di questo vano trovasi la parte più fortificata del castello posta verso settentrione. Nelle mura di questa parte veggonsi molti buchi per balestrieri. Le stanze sono tutte in rovina, ed in alcuni vedesi solo il pavimento, fatto di calcestruzzo. Non si trova conserva o cisterna alcuna per l'acqua, od almeno ora non ne apparisce traccia tra tante ruine. Molti buchi di balestrieri trovansi ancora alle mura esterne del Castello. Non vi appariscono vestigia di saracinesche alle porte. Una torre tonda, in parte diruta, trovasi, vicino all'ingresso del castello che è rivolta ad oriente: questa torre ha dei buchi per balestre od archibugi, ed ha due buchi tondi per colubrine »
(Michele La Cava, Del Sito di Blanda, Lao e Tebe Lucana, Napoli 1891)
« Alcune case erano fuori il cinto del castello, e costituivano un piccolo villaggio: che si estendeva tra oriente e mezzogiorno, sul ciglio di una collina, la quale congiunge il promontorio di Castrocucco ai monti contigui. Queste case non erano molte, non oltre forse una cinquantina, ed in qualche punto apparirebbero gli avanzi di un muro di cinta. Alla punta di questo villaggio, e poco discosto dal Castello, trovansi una piccola cappella diruta, e vedasi ancora l'abside con rozze pitture a fresco. Il fabbricato di questo castello, può rimontare al 1100 e 1200, restaurato e modificato verso il 1600 per l'adattamento delle bocche da fuoco »
(Michele La Cava, Del Sito di Blanda, Lao e Tebe Lucana, Napoli 1891)
All’interno del SIC le attività antropiche risultano di tipo estensivo: non vengono effettuati interventi selvicolturali, l’allevamento è di tipo brado o semi-brado, l’agricoltura è praticamente assente, lo sviluppo di reti infrastrutturali e di urbanizzazione è limitato alle zone costiere. E’ proprio però dalle attività turistico – ricettive che sorgono le maggiori criticità sulla conservazione degli habitat e delle specie, in particolare nelle zone prossime agli abitati di Marina di Castrocucco e soprattutto di Marina di Maratea (località esterne ai confini del sito).
Per tale motivo si ipotizza un ulteriore allargamento tra il sito di S. Ianni e quello di Castrocucco in modo da includere anche l’abitato di Marina di Maratea. Tale allargamento permetterebbe, infatti, di aumentare la connettività tra alcuni habitat aumentando la connessione ecologica dei due siti e allo stesso tempo la riduzione delle possibilità di uno sviluppo urbanistico nocivo alla conservazione delle specie, delle comunità e degli habitat rilevati nel territorio (vedi relazione sito di S. Ianni).