Monte Vulture


Carta di identità del sito

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Nome Monte Vulture
Codice IT9210210
Tipo C
Estensione 1.904 ha
Comuni
Province
Habitat (All. 1 Dir. 92/43/CEE): 9260, 8320, 9220*, 91E0*, 9180* dettagli   »
Specie
Note

Habitat All. 1 Dir. 92/43/CEE

Monte Vulture

9260 - Boschi di Castanea sativa

8320 - Campi di lava e cavità naturali

9220* - Faggeti degli Appennini con Abies alba e faggete con Abies nebrodensis

91E0* - Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae)

9180* - Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion

91M0 - Foreste Pannonico-Balcaniche di cerro e rovere

9510* - Foreste sud-appenniniche di Abies alba

91B0 - Frassineti termofili a Fraxinus angustifolia

3150 - Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition

6420 - Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del Molinio-Holoschoenion

Specie All. 2 Dir. 92/43/CEE e all.1 dir. 79/409/CEE

Monte Vulture



Collocato al centro di un altopiano densamente popolato, il Monte Vulture rappresenta il primo rilievo  per chi, da nord, entra in Basilicata. Ma anche chi arriva da Potenza, o in genere dal Sud, vedendo da lontano il cono vulcanico ricoperto di fitti boschi, ha l’impressione di trovarsi  davanti  ad un rilievo molto elevato. Questo anche perché i suoi rilievi restano innevati a lungo, accogliendo facilmente le perturbazioni provenienti dai Balcani.

Il SIC comprende i Laghi di Monticchio, nati nell’originario cratere, e solo una parte del Cono vulcanico, quella che guarda Rionero e dall’altro lato i Laghi; i versanti su Melfi e Rapolla sono inclusi nella loro parte apicale.

Il Vulture, centro dell’istituendo parco naturale regionale, è conosciuto in genere per le attività ricreative lungo i Laghi ed alla Abbazia benedettina. Molto meno note sono le caratteristiche naturali che attraggono l’attenzione, da oltre centocinquant’anni, di studiosi e naturalisti provenienti da tutta Italia e da molte località europee. Si fermano nei suoi boschi per ammirare specie uniche in habitat straordinari.

 “Il Monte Vulture è un vulcano di età pleistocenica a morfologia complessa, per la presenza di più centri eruttivi e strutture vulcano-tettoniche, circondato da diversi bacini fluvio- lacustri quaternari” (C. Principe 2006).

L’analisi dei magmi di questo vulcano, che sembrerebbe ormai estinto, è stata recentemente approfondita da studi internazionali che lo hanno reso famoso, più all’estero che in Italia, quasi come l’Ondoinjo Lengai della Tanzania, esempio storico dei magmi a chimismo carbonatico e melilitico.

Lo studio dei rapporti esistenti tra le datazioni dei vari centri eruttivi e la tettonica dell’area vulcanica dimostra che non ci troviamo davanti ad un vulcano spento, ma disposto a riprendere la sua attività eruttiva se l’uno o l’altro dei fasci di faglie dovesse essere fortemente sollecitato.

Tutte le acque presenti nel sottosuolo, che emergono in sorgenti più o meno copiose, sono ricche di anidride carbonica in quantità adeguata da renderle particolarmente apprezzate e commercializzate in tutta Italia.

I suoli del Vulture sono tutti di origine autoctona, cioè originati in loco, di tipo bruno acido e generalmente profondi con ricco spessore di humus di tipo mull-moder.

A nord della cima di M. Vulture sono presenti delle aree con suolo superficiale, pietrosità o rocciosità affiorante con vegetazione pioniera indicatrice di degrado.

Sui versanti esposti a NW che guardano il Lago Piccolo emergono delle grosse formazioni litoidi intorno alle quali si è insediata una vegetazione con caratteristiche prettamente mediterranee (macchia alta del Quecetum ilicis).

Nel Vulture propriamente detto non esistono fiumi, ma piccoli corsi d’acqua stagionali che scorrono negli impluvi sui vari versanti; lo stesso Lago Piccolo è alimentato da sorgenti sotterranee (non possiede immissari) e a sua volta alimenta il Lago Grande con un travaso a cielo aperto in coincidenza dell’istmo che li collega.

Il Lago Piccolo ha una sezione ad imbuto per cui la profondità aumenta notevolmente a poca distanza dalla riva; proprio per questo motivo può ospitare sulle sue sponde una flora di tipo igrofilo, mentre il Lago Grande ha pendenza minima sulle coste con zone paludose che accolgono Habitat di tipo igrofilo ed idrofilo.

Il Monte Vulture è un edificio vulcanico spento, caratterizzato dalla classica forma tronco-conica, che raggiunge la quota massima di 1326 m s.l.m.

L’edificio presenta ancora due forme crateriche, oggi piene d’acqua e note come Laghi di Monticchio, situati nella parte occidentale e testimoniano l’ultima fase di attività datata intorno a circa 130.000 anni fa.

Il Vulture è un vulcano composito, costituito in prevalenza da depositi piroclastici, con affioramenti ancora ben visibili nella parte più distale dell’edificio, e subordinatamente da lave i cui resti sono visibili in piccoli affioramenti presenti invece nella parte sommitale.

La forma originaria del vulcano, generatasi per azione dei processi endogeni, come vulcanesimo e attività tettonica, è stata, nel corso dei millenni continuamente e lentamente modificata ad opera dei processi morfogenetici e tettonici. Per questo motivo, sia le cime che i versanti del vulcano sono stati scolpiti da ampie vallate e gole profonde. I detriti trasportati dai ruscelli hanno colmato ampie depressioni vallive, come per le valli di Vitalba e Atella.

I processi di pedogenesi delle vulcaniti, d’altro canto, hanno favorito lo sviluppo di un fertile suolo che ha permesso la crescita di una rigogliosa e lussureggiante vegetazione.

Molto importante è la situazione idrogeologica dell’area, che, a causa del complesso sistema idrico sotterraneo è caratterizzata da numerose sorgenti.

La parte sud-occidentale dell’area è caratterizzata dalla presenza dei due laghi, il cui valore paesaggistico è stato, per anni, motivo di grande richiamo turistico.   

IL CLIMA

L’area del Vulture, in base alla sua collocazione geografica, è caratterizzata da un clima temperato freddo. Tuttavia, considerando le varie zone e in base alla loro esposizione e al gradiente altimetrico, si possono definire varie zone microclimatiche che trovano riscontro nella distribuzione fitosociologia della vegetazione.

Non vi sono evidenti segni di dissesto del territorio che rimandano a condizioni microclimatiche particolari.

Nella zona delle caldere, ed in particolare presso il Lago Piccolo l’assenza di rimescolamento dell’aria favorisce la formazione di uno strato più freddo a bassa quota e più caldo a quote superiori: è il fenomeno dell’inversione termica che caratterizza il microclima locale. Questo spiega l’anomala distribuzione delle cenosi forestali sul lato nord-occidentale del Vulture: a quote eccezionalmente basse troviamo la faggeta, mentre più in alto ed in particolare sulle cime si estende la cerreta. In seguito all’inversione termica è tipico il formarsi di nebbie basse sulla superficie del lago, soprattutto in estate ed autunno quando il cielo è sereno.

La presenza della faggeta su questi versanti è anche da attribuire alla naturale predilezione di questa specie tipicamente sciafila per le esposizioni poco soleggiate, e umide per quasi tutto il corso dell’anno. Dall’analisi del climogramma di Walter e Lieth relativo al Vulture si osserva che il periodo di aridità è limitato a meno di tre mesi (giugno-agosto), fenomeno attenuato dalla ricchezza di acque sotterranee che limitano lo stress idrico soprattutto per le specie forestali.

Gli altri versanti del cono vulcanico risentono maggiormente delle caratteristiche di supramediterraneità del clima.

Nel corso di un anno l’attività di monitoraggio nel sito di Monte Vulture è stata riscontrata la presenza di numerosissime specie significative per gli aspetti relativi alla tutela e alla conservazione.

Molte di queste specie sono state ritrovate dopo anni o addirittura decenni  da precedenti avvistamenti, ma tante altre sono state osservate per la prima volta in questo Sito.

Diffuso un po’ dappertutto nel sito è il fenomeno dell’inversione delle fasce fitoclimatiche, con l’abete, il cerro, il faggio straordinariamente confusi.

Complessivamente la biodiversità specifica ed ecologica è notevole, lo stato di conservazione delle popolazioni e degli habitat è buono, tranne in alcuni casi in cui la pressione antropica di vario tipo ha disturbato gli equilibri naturali pregiudicandone l’esistenza. Alcune specie endemiche lucane o addirittura limitate al Sito, rischiano di scomparire, come il Garofanino del Vulture e la Knautia lucana; in compenso altre specie sembrano estendere il loro areale (Acer cappadocicum ssp. Lobelii) e si ritrovano in più habitat. Il museo di Storia Naturale del Vulture, aperto di recente nei locali dell’Abbazia benedettina di S. Michele,  offre al visitatore l’opportunità di conoscere una straordinaria storia che risale alla prima costruzione del cono vulcanico avvenuta 750.000 anni fa, ed in esso sono presenti numerose collezioni dove sono conservate le specie animali e vegetali più significative.

I segni dell’uomo in quest’area sono davvero antichi. I primi a colonizzare il sito furono dei monaci eremiti basiliani di rito greco-ortodosso oltre mille anni fa. Di questo periodo si conservano le laure dell’antico cenobio e la grotta con l’edicola dedicata a San Michele. Successivamente venne costruita l’Abbazia di Sant’Ippolito, un grande complesso religioso i cui ruderi sono visibili ancora sull’istmo tra i due laghi, dove trovarono convivenza ecumenica i Basiliani e i Benedettini. Dopo un terremoto avvenuto nel XV secolo, l’area venne abbandonata dai monaci che raggiunsero il luogo dove in seguito e a più rirpese costruirono l’attuale Abbazia di San Michele.

L’area del Vulture presenta molteplici realtà paesaggistiche. Spesso condizionate dalla massiccia e costante gestione del territorio come, ad esempio, con la coltivazione del castagno. In questo caso il controllo del soprassuolo da parte dell’uomo è quasi totale, mentre si può ammirare una quasi totale naturalità sull’area sommitale, dominata da boschi di cerro e da faggete. 

Nella zona intorno ai laghi la presenza dell’uomo è dominante. Questa porzione di territorio ha un forte richiamo turistico che, negli anni, ha modificato in molte occasioni il paesaggio. Numerosi risultano gli insediamenti turistico-ricettivi, di vecchia e di nuova costruzione: alberghi, ristoranti, camping, agriturismi, aree pic-nic più o meno attrezzate. In molti casi a ridosso proprio delle rive dei laghi.

Non mancano costruzioni abitative, edifici pubblici inutilizzati, e una caserma del Corpo Forestale dello Stato (Comando Stazione San Michele).

Molte sono le condizioni di abusivismo: essenzialmente abitazioni e baracche, in cui si pratica il commercio di piccoli “ricordini”, oltre a molte piccole attività poco controllate.

I versanti sono tutti ben ricoperti da fitta vegetazione e in genere non destano particolari difficoltà legate a rischi geomorfologici; il versante settentrionale, a pendenza più elevata, mostra maggiori evidenze di rischio geomorfologico come frane e dissesti superficiali del terreno, già in parte marginati da opere di ingegneria naturalistica di recente costruzione.

L’accesso al sito non è controllato e numerosi sentieri, anche carrabili, permettono l’accesso al sito determinando una diffusa frammentazione degli habitat.

Nella porzione più periferica, in vicinanza dei centri abitati, diffuse sono le tracce di versamenti di rifiuti. Mentre il versante settentrionale è in gran parte occupato da castagneti privati recintati.

Nella parte sommitale è presente un’area militare e alcuni grandi tralicci con antenne per  telecomunicazioni e un uno chalet, ristrutturato ma chiuso, con un grande piazzate asfaltato. Dalla parte sommitale, a scendere verso i laghi, sono ancora evidenti i resti di un vecchio impianto di risalita costruito, entrato in funzione negli anni sessanta e ora completamente abbandonato.