IL TERRITORIO
Il Sito è localizzato nel settore meridionale della Regione Basilicata, vicino al confine con la Calabria (16° 40’ 14’’ E – 40° 09’ 51’’ N); ha un’estensione pari a 1092,47 ettari sviluppata in un contesto planiziale, avente quote variabili tra 0 e 17 m s.l.m. (media: 4 m s.l.m.). La linea costiera che stabilisce il confine del SIC verso il mare si estende per 7,5 Km, secondo la direzione SUDOVEST – NORDEST.
Rispetto alla perimetrazione originaria si propone un ampliamento del sito in modo da includere un più ampio tratto di bosco ripariale (habitat 92A0), altre modifiche sono state effettuate per l’adeguamento ad una base cartografica di maggiore dettaglio e per una migliore riconoscibilità dei limiti sul territorio (tracciati stradali, ferrovia, corsi d’acqua, ecc.
Le variazioni nelle tipologie e superfici degli habitat sono da attribuirsi per lo più ad una più dettagliata interpretazione (grazie anche alla pubblicazione del Manuale Italiano degli Habitat) e all’applicazione di metodologie GIS per il calcolo delle percentuali. In particolare, le formazioni a sclerofille indicate nella precedente Scheda Natura 2000 con l’habitat “6310 Dehesas con Quercus spp. sempreverde”, sono qui riferite all’habitat “2260 Dune con vegetazione di sclerofille dei Cisto-Lavanduletalia”, in cui il nuovo Manuale degli Habitat include anche le formazioni di macchia e gariga delle dune litoranee ricche di elementi dei Pistacio-Rhamnetalia. L’habitat “5230 Matorral arborescenti di Laurus nobilis”, segnalato nella scheda Natura 2000, è in genere tipico dei boschi di forra in cui il Lauro forma uno strato dominante. In questo sito la specie è presente come elemento del bosco igrofilo planiziale riferito all’habitat 91F0.
Il bosco di Policoro rappresenta ciò che resta dei due complessi detti "bosco del Pantano soprano" e "bosco del Pantano sottano" che costituivano fino ad alcuni decenni fa una delle più estese foreste planiziali dell'Italia meridionale. Attualmente l'area del bosco rientra per gran parte nel territorio del comune di Policoro in provincia di Matera, ed è situata sulla sinistra idrografica del fiume Sinni, nella zona della foce. Fino ad alcuni anni fa la superficie boscata si estendeva anche nel limitrofo comune di Rotondella, per circa un migliaio di ettari, con il "bosco della Rivolta", oggi trasformato in zona agricola. La superficie del bosco originario planiziale, è stata misurata, nel 1971, in 550 ettari. L'altitudine dell'intera area è compresa tra 0 e 5 m s.l.m. Nella zona più a monte, sulla sinistra idrografica del fiume Sinni, si ritrova il lembo superstite (circa 50 ha) di quello che fu il "bosco del Pantano Soprano", facente parte dell'azienda agricola sperimentale dell'Università di Bari. Questa esigua superficie di bosco è delimitata sui lati SE e SO rispettivamente dalla superstrada Sinnica e dalla Strada Statale 106 mentre per il resto è circondata da terreni agricoli.
Il “bosco del Pantano Sottano” è situato invece in una più vasta area delimitata dalla sponda sinistra del fiume Sinni, dalla linea ferroviaria Taranto-Reggio Calabria e verso Est dalle aree, pur boscate, prospicienti il litorale. Quest’ultimo si estende per una superficie di circa 584,63 ha di cui circa 179,52 ha costituiti da un popolamento di origine artificiale realizzato presumibilmente intorno agli anni “60, di Pino d’Aleppo spesso associato all’Eucalipto che occupa una ampia fascia delimitata a Sud-Est dal litorale sabbioso, a Nord-Ovest da ampie superfici coltivate, a Sud-Ovest dalla strada che conduce al mare (Via Mascagni) ed alla sede dell’Oasi WWF di Bosco Pantano di Policoro. La restante porzione (l’area SIC vera e propria) di circa 405,11 ha si estende lungo una analoga fascia che si sviluppa sul lato opposto della già citata via del mare (Via Mascagni), alle spalle della sede del Museo di Storia Naturale fino alla sponda sinistra del fiume Sinni, delimitata a Nord-Ovest, per un tratto, dalla linea ferroviaria TA-RC e, per una più estesa porzione, da aree agricole.
A partire dal 1934, fu avviato un processo di bonifica, portato a termine con la Riforma Fondiaria negli anni Cinquanta, che, nella sua fase iniziale, si concretizzò nella creazione di una rete di canali progressivamente ampliata, fino ad interessare il bosco, il quale, attualmente, è percorso da un sistema di canali per le acque basse, convogliate in un canale collettore collegato all'idrovora, situata immediatamente ai margini del bosco. Le opere di bonifica, volte a favorire il deflusso delle acque e a debellare la malaria che infestava quei territori, ebbe il suo culmine con la Riforma Fondiaria che trasformò il bosco ed i dintorni nel paesaggio che possiamo vedere oggi.
L’entrata in funzione della diga di Monte Cotugno nel 1985, unitamente alle opere di regimazione fluviale realizzate lungo l’alveo del Sinni, ha provocato una notevole riduzione di portata con riflessi immediati sulle caratteristiche del bosco, che ha, in parte, perso quel suo carattere peculiare, costituito dalle abbondanti zone acquitrinose permanenti. Queste, attualmente, hanno generalmente carattere temporaneo, soprattutto all'interno del bosco; alcuni acquitrini permanenti sono situati nella zona in prossimità del mare e risultano massicciamente colonizzati da estesi canneti.
Sotto il profilo geologico l’area può essere suddivisa in tre fasce morfologicamente distinte che procedendo dalla costa fino all’interno; possono essere sintetizzate in avanspiaggia, retrospiaggia e fascia dei terrazzi. La prima è poco ampia ed è completamente priva di cordoni dunali. Lo smantellamento delle dune è dovuto in parte agli interventi antropici, in parte dall’azione erosiva prodotta dagli eventi alluvionali che periodicamente hanno interessato l’area.
Il retrospiaggia, invece, è costituito da un’ampia pianura che si raccorda gradualmente con quelle alluvionali recenti legate al corso d’acqua presente. La zona più interna è caratterizzata da un’ampia pianura terrazzata; sono sette gli ordini di terrazzi marini presenti, individuabili da caratteristiche scarpate di abrasione marina subparallele all’attuale linea di costa.
L’intera area ricade nella porzione Meridionale dell’ Avanfossa Appenninica. Il substrato geologico, affiorante in pochi punti, è costituito dalle argille subappenniniche del ciclo bradanico superiore (Pliocene inf.) sulle quali poggiano discordanti i depositi marini terrazzati, le alluvioni recenti ed attuali del predetto fiume, i depositi di spiaggia ed i depositi di piana costiera . I depositi marini terrazzati affiorano estesamente alla sommità tabulare dei rilievi collinari ed individuano delle superfici di terrazzamento marino generatesi, durante il Pleistocene medio superiore, a causa dell’azione combinata delle variazioni glacioeustatiche del livello marino e dell’innalzamento dell’intera area dovuto alle ultime fasi dell’orogenesi appenninica. I depositi alluvionali recenti, sono costituiti essenzialmente da depositi argilloso- sabbioso-ghiaiosi con intercalati livelli sabbiosi.
Nella piana costiera, i sedimenti alluvionali sono più spiccatamente sabbiosi e poggiano, lungo una superficie indistinta, su depositi di ambiente di transizione rappresentati da sabbie, ghiaie e limi in lenti e livelli variamente distribuiti nello spazio Infatti, durante le fasi terminali dell’ultima trasgressione olocenica, che aveva portato la linea di costa ben più all’interno rispetto a quella attuale, l’apporto di notevoli quantità di depositi terrigeni ha determinato la sedimentazione di una potente serie di depositi lungo la fascia costiera.
Questi depositi presentano una variabilità spaziale dei caratteri granulometrici tipica dei depositi di transizione e la permeabilità varia da medio bassa a molto bassa, passando dai livelli sabbiosi a quelli limoso-argillosi.
L’assetto idrogeologico dell’area è fortemente condizionato dalla presenza del corso d’acqua del Fiume Sinni che la solca, sia come tipologia di depositi presenti sia come incisione fluviale, costituendo un ambiente idrogeologico alquanto eterogeneo.
La sequenza stratigrafica, costituita da depositi abbastanza grossolani con permeabilità medio–alta giacenti su un substrato più francamente argilloso (argille grigio–azzurre) a bassa permeabilità, garantisce la presenza di un acquifero (monostrato o multistrato) che ha come recapito naturale il Mar Jonio.
La notevole variabilità, sia della permeabilità sia delle condizioni litostratigrafiche, impone alle acque di falda una altrettanto ampia variabilità nelle modalità di circolazione sotterranea, tra libera ed in pressione.
I livelli acquiferi si individuano nei livelli sabbioso–ghiaioso–conglomeratici dei depositi marini terrazzati e nelle alluvioni attuali e/o recenti.
Nei primi si individua un acquifero abbastanza continuo e potente con variabilità locale delle permeabilità.
Nei depositi alluvionali recenti e attuali le falde idriche sono spesso discontinue e poco potenti ed alimentano l’acquifero della piana costiera.
Nell’acquifero costiero, gli strati permeabili, generalmente sabbiosi, sono confinati all’interno di livelli impermeabili di varia estensione e spessore.
La quota del letto del suddetto acquifero, coincidente con il tetto dell’unità argillosa inferiore della piana costiera, descresce dall’interno verso la costa, con un andamento alquanto irregolare, caratterizzato anche da locali depressioni del letto, subparallele alla costa.
Vicino alla costa il letto dell’acquifero costiero si spinge sotto il livello del mare, permettendo in tal modo, in funzione delle condizioni idrodinamiche, l’intrusione marina.
IL CLIMA
Il clima è di tipo mediterraneo (dati stazione meteorologica az. Pantanelli di Policoro - 31 m. s.l.m.- ventennio 1963-1982). Secondo la classificazione fitoclimatica del Pavari, il bosco di Policoro rientra nella sottozona calda del Lauretum del secondo tipo, con siccità estiva.
In settembre l'afflusso meteorico raddoppia rispetto ad agosto e continua a crescere in ottobre, mese in cui si registra il massimo stagionale. In inverno la temperatura si abbassa raggiungendo il minimo valore annuale in gennaio (8,1° C): in questa stagione si verifica il massimo delle precipitazioni. In primavera, nel mese di marzo, sono frequenti le gelate tardive, in aprile si rilevano temperature comprese tra 25° e 30° C, mentre in maggio si registrano temperature massime superiori a 30°C. Il totale stagionale delle precipitazioni si riduce a circa la metà di quello invernale ed il numero medio di giorni piovosi si distribuisce in modo decrescente da marzo a maggio. La stagione estiva è generalmente caratterizzata da un certo equilibrio termico, il periodo che va da luglio ad agosto è il più stabile, mostrando solo un lieve aumento delle temperature massime. Le precipitazioni mensili, decrescenti, raggiungono il minimo valore nel mese di luglio, che risulta essere il periodo più secco dell'anno, mentre ad agosto i valori crescono leggermente.
La vegetazione potenziale dell'area è rappresentata dalla serie psammofila delle dune sabbiose e da foreste planiziali e ripariali oggi in gran parte sostituite da macchia mediterranea, impianti artificiali e aree coltivate. Il complesso di habitat dunali e palustri retrodunali, anche se in parte degradato, contribuisce alla caratterizzazione di uno dei biotopi di maggiore rilevanza naturalistica lungo la costa lucana.
Dal punto di vista vegetazionale la fitocenosi più significativa è rappresentata dal bosco igrofilo a Fraxinus oxycarpa e Quercus robur riferibile all'habitat 91F0, che rappresenta l'ultimo lembo relitto delle foreste planiziali che occupavano ampi tratti della costa lucana. Tali formazioni sono state riferite al Carici remotae-Fraxinetum oxycarpae Pedrotti et Gafta 1992 e, successivamente al Fraxino oxycarpae-Populetum canescentis Fascetti 2004 dell’alleanza Populion albae Br.-Bl. ex Tchou 1948 (ordine Populetalia albae Br.-Bl. ex Tchou 1948, classe Querco-Fagetea Br.-Bl. & Vlieger in Vlieger 1937). Si tratta di boschi soggetti a periodiche inondazioni caratterizzati da una ricca componente fanerofitica (Quercus robur, Fraxinus oxycarpa, Populus alba, salix sp. pl., Laurus nobilis, Ulmus minor, ecc.), e con uno strato arbustivo e lianoso ben sviluppato. Attualmente il graduale prosciugamento del substrato a causa delle opere di bonifica che si sono susseguite a partire dagli anni ’50, ha favorito la penetrazione di elementi tipici della macchia mediterranea (Pistacia lentiscus, Myrtus communis, Rhamnus alaternus) che stanno progressivamente sostituendo gli elementi più tipici del bosco planiziale.
Tali elementi caratterizzano gli ambienti retrodunali, dando origine ad una macchia psammofila estesa e a tratti caratterizzata dalla presenza di Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa. Sul litorale si rinvengono i tipici aspetti di vegetazione psammofila, spesso in disposizione caotica a causa della degradazione delle morfologie dunali provocata dall’accentuata attività erosiva del mare e dal disturbo antropico. Si possono riconoscere comunque la fascia di vegetazione pioniera del Salsolo-Cakiletum, le comunità a Sporobolus virginicus, ad Agropyron junceum e ad Ammophila arenaria, e aspetti riferibili al Crucianellion caratterizzati dalla presenza di Ephedra distachya, Pancratium maritimum ed Euphorbia terracina.
Le aree depresse retrodunali sono in parte occupate da prati umidi, giuncheti e canneti diversificati a seconda del grado di salinità e della disponibilità idrica e dai lembi di bosco igrofilo che si estende a ridosso del corso del fiume Sinni occupando poco più del 20% dell’intera superficie del sito. Piuttosto estese sono le fitocenosi a Juncus acutus che si alternano a lembi di macchia dominati da Pistacia lentiscus e boscaglie a Tamarix africana. I canali artificiali paralleli e perpendicolari al corso del fiume sono colonizzati da canneti a Phragmytes australis e Typha latifolia, più raramente Schoenoplectus sp. e Cladium mariscus.
FLORA:
Nonostante i numerosi contributi scientifici sul bosco relitto di Policoro, non esiste ad oggi un compendio floristico aggiornato di quest'area. I rilievi effettuati durante i sopralluoghi hanno permesso di confermare la presenza di numerose specie rare segnalate in passato per quest'area.
Tra le specie vegetali d’interesse conservazionistico la segnalazione di Sarcopoterium spinosum è basata su un campione d’erbario risalente al 1978. La specie è probabilmente ancora presente, ma non confermata di recente. Significativa è anche la presenza di Cladium mariscus e di Clematis viticella, entrambe le popolazioni hanno un carattere relittuale essendo legate ad ambienti igrofili in gran parte scomparsi. C. mariscus è presente con un piccolo popolamento localizzato lungo un canale artificiale, mentre C. viticella è stata rilevata all'interno del bosco igrofilo (dal viale della Madonna verso il fiume).
Altra specie rara segnalata di recente, ma non confermata durante i rilievi effettuati, è Asphodelus tenuifolius Cav., specie rara di origine subtropicale, nota in Italia per Sicilia, Puglia e Basilicata dove è stata segnalata solo recentemente (Fascetti et al., 1991).
Altre presenze significative sono rappresentate da Ephedra distachya, specie caratteristica delle dune consolidate, presente con una ricca popolazione lungo la fascia retrodunale del sito. Nell'ambito di un intervento di ripristino della duna sono stati effettuati alcuni impianti artificiali di E. distachya che però non hanno avuto successo.
Tra le orchidee rinvenute sono da segnalare Ophrys fuciflora s.l., Ophrys incubacea, Ophrys apifera, Anacamptis pyramidalis, Ophrys sphegodes ssp. garganica, Orchis coriophora L., Orchis italica L., Serapias lingua L., Serapias parviflora Parl., Serapias vomeracea (Burm. f.) Briq.
Non è stata rinvenuta Orchis palustris Jacq., rara orchidea tipica delle aree umide mediterranee, segnalata alla fine degli anni '80 (Conti et al., 1990) per gli acquitrini retrodunali del litorale e osservata (un popolamento con pochissimi individui) fino al 1991 (Fascetti et al., 2006). La presenza della specie nel sito è quindi da ritenersi dubbia a causa delle trasformazioni subite dall'area che avrebbero potuto provocare l'estinzione del popolamento già molto esiguo.
Dai dati di letteratura meritano di essere citati alcuni contributi relativi alla flora lichenica: Fascetti & Potenza (2006) segnalano nel sito, nuove per la Basilicata, Flavoparmelia soredians (Nyl.) Hale e Ramalina canariensis J.Steiner.
FAUNA:
Nel SIC sono state individuate 27 specie di fauna di interesse comunitario; di queste, 21 specie di Uccelli risultano inserite nell’All. I della dir. 79/409 CEE, mentre 2 di Mammiferi, 2 di Rettili e 2 di Invertebrati sono inserite nell’All. II della Dir. 92/43 CEE. La lista di Uccelli comprende molte specie migratrici, la cui presenza nel SIC testimonia l’importanza dell’area come sito di sosta (stop - over) durante le migrazioni. Tale ruolo viene efficacemente svolto grazie all’alternanza di zone umide retrodunali ed estese aree di macchia mediterranea dove numerosi picccoli passeriformi trovano rifugio e/o alimento. Lungo la linea di costa, inoltre, si rileva un consistente transito di specie migratrici pelagiche come il Gabbiano corallino (Larus melanocephalus) e il Gabbianello (Larus minutus), osservati alche in gran numero (fino ad oltre 500 individui per il Gabbiano corallino) durante la migrazione post-riproduttiva. Le piccole pozze temporanee che si formano lungo la battigia a seguito delle mareggiate, inoltre, sono utilizzate da diverse specie di Limicoli migratori, tra cui si segnala il Chiurlo piccolo (Numenius phaeopus), il Gambecchio (Calidris minuta), il Piovanello pancianera (Calidris alpina), il Piro piro boschereccio (Tringa glareola) e la Pettegola (Tringa totanus). Importante la componente di Uccelli acquatici, soprattutto Ardeidi e Rallidi, che colonizzano sia i canneti presso la foce del Sinni (Ardea purpurea) che le formazioni igrofile situate lungo i canali di bonifica (Botaurus stellaris, Ixobrychus minutus, Rallus acquaticus). Tali biotopi sono importantissimi per lo svernamento di alcune specie di passeriformi migratori, tra cui il Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon) e il Pettazzurro (Luscinia svecica), che colonizzano prevalentemente giuncheti in prossimità dei canali di bonifica. L’area del Bosco planiziale presenta spiccate caratteristiche di “continentalità” favorendo la presenza di specie tipicamente paleartiche, il cui areale italiano segue principalmente l’Appennino. Il caso più emblematico è rappresentato dal Picchio rosso minore (Dendrocopos minor), vero testimone degli antichi boschi estesi probabilmente fino alle aree alto-collinari dell’entroterra. Lungo la duna, inoltre, è stata rilevata la nidificazione del Fratino (Charadrius alexandrinus) che utilizza piccole depressioni del terreno per deporre le uova, in prossimità delle battigia.
La componente erpetologica è rappresentata da molte specie inserite in direttiva nell’allegato IV, come il Rospo smeraldino (Bufo balearicus), la Raganella italiana (Hyla intermedia) e la Natrice tassellata (Natrix tessellata). Tuttavia, lelemento di maggior interesse è relativo alla presenza della Testuggine palustre europea (Emys orbicularis), rinvenuta in alcuni canali di bonifica e in prossimità degli acquitrini retrodunali. Interessante, anche per le implicazioni di carattere gestionale, la conferma della presenza della Lontra, le cui tracce sono state osservate di frequente durante lo svolgimento dell’indagine.
Alcune delle specie faunistiche segnalate nel vecchio formulario non sono state confermate durante l’aggiornamento. Le ragioni di questa apparente discrepanza sono sintetizzate come segue:
1) Specie non appartenenti alla fauna locale, la cui presenza nel vecchio Formulario era probabilmente dovuta ad un errore di battitura. E’ il caso dell’Averla maschera Lanius nubicus, specie distribuita nel Medio e Vicino Oriente e non segnalata in Italia (Yosef & Loher, 1995) e dello Zigolo muciatto Emberiza cia, legato tutto l’anno a formazioni cacuminali montane (Cramp & Perrins, 1994).
2) Specie potenzialmente presenti durante le migrazioni ma ecologicamente non legate all’area di studio. In questo caso l’osservazione di eventuali soggetti migratori è sfuggita al rilevamento. E’ il caso ad esempio dell’Ortolano Emberiza hortulana e della Ghiandaia marina Coracias garrulus; il primo legato per la nidificazione a contesti semiaperti montano-collinari, la seconda legata invece agli ambienti steppici (cfr. Cramp & Perrins, 1994; Brichetti & Fracasso, 2007).
3) Specie che frequentano l’area di mare antistante il sito, la cui però riproduzione nel SIC non è stata confermata. E’ il caso della Tartaruga caretta Caretta caretta.
Note entomologiche
Il Bosco Pantano di Policoro è stato oggetto, fin dagli anni ’50 di indagini entomologiche di grande rilievo, la bibliografia a carattere entomologico risulta quindi ricca di indicazioni utili al presente progetto di aggiornamento dei formulari standard delle aree SIC e ZPS della Regione Basilicata.
Le specie riportate nell’aggiornamento del formulario standard relativo al sito “Bosco Pantano di Policoro e Costa Jonica Foce Sinni”, sono state in parte rilevate direttamente durante le sessioni di campionamento, ed in parte estrapolate dalla bibliografia consultata. In particolare sono state rilevate in campo tutte le specie di odonati riportati nel formulario, mentre per quanto riguarda coleotteri e lepidotteri, le specie sono state tratte dalle pubblicazioni riportate nel campo “4.6 Documentazione” del formulario standard. Di particolare importanza a questo proposito, risulta una ricerca di Fernando Angelini (ANGELINI & MONTEMURRO, 1986), relativa alla coleotterofauna del bosco di Policoro; essa si riferisce sia all’area boscosa planiziaria, sia a tutta l’estensione del bosco Pantano soprano, difatti le raccolte sono state condotte in maniera approfondita, esaminando tutti gli ambienti presenti nel SIC-ZPS, elencando ben 1.823 specie appartenenti al solo ordine dei coleotteri. Nella presente relazione, si ritiene necessario fare menzione delle due specie segnalate nel formulario dell’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Jonica Foce Sinni”, sono il Cerambicide della quercia (Cerambyx cerdo) specie di interesse comunitario, e la Rosalia alpina (Rosalia alpina) specie prioritaria, ambedue appartenenti alla famiglia dei Cerambycidae. Le larve di questi insetti vivono e si sviluppano nel legno di esemplari di essenze arboree ed in particolare: il C. cerdo è esclusivo parassita del legno di quercia (per lo più morto) e la R. alpina, pur prediligendo il legno morto di Faggio (Fagus selvatica) si è adattato in questi territori a colonizzare essenze arboree igrofile quali Salice (Salix spp.) e Frassino (Fraxinus angustifolia).
La permanenza di esemplari morti sul suolo o in piedi, di queste specie arboree, risulta di fondamentale importanza per la sopravvivenza di queste specie. Durante i sopralluoghi effettuati nell’ambito del progetto Rete natura 2000, non sono stati rilevati esemplari delle suddette specie, me esse risultano presenti dall’analisi bibliografica e dalle informazioni apprese da operatori locali, presenti nel sito in maniera continuativa. In particolare per il Cerambicide della quercia (C. cerdo), le notizie risultano frammentarie e non completamente attendibili, diversamente dalla Rosalia alpina, certamente presente nel Bosco Pantano, come risulta da notizie attendibili riferite agli ultimi anni. La presenza/assenza, dei due coleotteri, potrebbe essere confermata solo da studi effettuati con mezzi e tempi differenti da quelli del presente programma.
Una specie caratteristica, rinvenuta nell’area d’indagine, è Brithys crini (indicata anche come Brithys pancratii), lepidottero a distribuzione mediterranea, diffuso anche in Africa e Asia meridionale. Sulla costa jonica, così come in tutto il Mediterraneo, è strettamente associata, allo stadio larvale, alle foglie del Giglio di mare (Pancratium maritimum), tipico rappresentante della vegetazione psammofila litorale.
La presenza di insetti specializzati, quali coleotteri tenebrionidi (Pimelia sp., Akis sp., ecc.), carabidi (Carabus coriaceus, Cicindela sp.), rinvenuti sull’arenile in prossimità della foce e sulle dune nell’area di studio, conferma la buona qualità degli habitat psammofili, nelle zone dove tali ambienti si sono conservati. La conservazione degli ecosistemi dunali, si ripercuote fortemente sulle comunità di invertebrati presenti in questi ambienti, sia per perdita di habitat, sia per la possibile scomparsa di specie vegetali legate strettamente alla biologia di alcuni insetti. Per quanto riguarda gli invertebrati elencati negli allegati della Direttiva 92/43, e segnalati nel SIC, risultano necessarie le seguenti azioni: mantenimento della vegetazione igrofila presente nei canali di bonifica per gli invertebrati legati agli ambienti umidi ed alla vegetazione igrofila; piantumazione in aree naturali e/o artificiali, prevista da qualsiasi progetto di verde pubblico o privato, di esemplari di essenze arboree appartenenti ai generi Quercus, Fraxinus, e Salix, che potrebbero agevolare la diffusione dei cerambicidi C. cerdo e R. alpina. Inoltre si rende necessaria la non asportazione di legno morto (esemplari morti, rami provenienti dalle potature) di queste specie arboree, che potrebbe essere accatastato in aree adibite appositamente, creando di conseguenza l’habitat ideale per lo sviluppo delle larve dei due cerambicidi suddetti.
Sotto il profilo faunistico il sito riveste un’importanza strategica per le popolazioni di uccelli migratori che sostano nelle zone umide retrodunali e nelle formazioni di macchia mediterranea. Tra le innumerevoli specie di passeriformi migratori e svernanti è opportuno citare il Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon), piccolo silvide di canneto inserito nell’All. I della Dir. “Uccelli”, svernante nel sito con una consistente popolazione, la cui area di origine si colloca principalmente in Ungheria (Gustin et alii, 2002). Particolare rilevanza, inoltre, assume il transito post-riproduttivo di alcune specie di Laridi e Sternidi, tra cui spicca il Gabbiano corallino (Larus melanocephalus), osservato in stormi consistenti, superiori alle 500 unità, provenienti soprattutto dalla principale area di nidificazione europea situata nel Mar Nero (Brichetti & Fracasso, 2005). Interessante, inoltre, lo svernamento di una piccolissima popolazione di Tarabuso (Botaurus stellaris), svernante scarsa e irregolare in Italia meridionale (Brichetti & Fracasso, 2002). Tra le specie nidificanti inserite nell’All. I della Dir. “Uccelli” è importante sottolineare la presenza delle seguenti specie:
- Fratino (Charadrius alexandrinus). La specie si riproduce lungo la costa in prossimità della duna, utilizzando anche la porzione di battigia, più esposta alle maree e alla pressione antropica. La popolazione di Fratino risente pesantemente della pressione antropica esercitata sulle spiagge, che spesso provoca l’abbandono o la perdita di intere covate.
- Tarabusino (Ixobrychus minutus). Nidificante nei canneti sviluppati lungo le sponde del Fiume Sinni e nei canali di bonifica. Ardeide minacciato in tutto il suo areale europeo, in forte calo numerico a causa della progressiva scomparsa degli ambienti palustri (Fragmiteti) tipicamente utilizzati per la nidificazione.
- Airone rosso (Ardea purpurea). Nidificante in prossimità della Foce del Sinni. Specie a forte rischio di estinzione, con consistenza numerica e densità molto basse in tutto il suo areale.
Di particolare rilevo biogeografico, inoltre, risulta la presenza di alcune coppie nidificanti di Picchio rosso minore (Dendrocopos minor), distribuito principalmente lungo la catena appenninica e la cui presenza nel Bosco di Policoro indica antiche connessioni tra le foreste planiziali e le cenosi boschive delle colline retrostanti; si tratta dell’unico sito costiero italiano per il quale è conosciuta la nidificazione di questa specie (Brichetti & Fracasso, 2006).
L’erpetofauna del SIC si caratterizza per la presenza della Tartaruga palustre europea (Emys orbicularis), il cui areale meridionale risultava interrotto in corrispondenza dell’intero arco jonico lucano (cfr. Sindaco et alii, 2006), presumibilmente per carenza di informazioni. Tali osservazioni suggeriscono l’esistenza di una continuità con le popolazioni calabresi e pugliesi. La specie si riproduce nelle zone umide retrodunali, compresi i canali di bonifica. Nell’area è presente inoltre, una consistente popolazione di Rospo smeraldino (Bufo balearicus) e Raganella italiana (Hyla intermedia), mentre più localizzato sembra il Tritone italiano (Lissotriton italicus). Interessante la presenza della Natrice tassellata (Natrix tessellata) osservata in caccia in prossimità del canale dell’idrovora.
La mammalofauna si contraddistingue per la presenza della Lontra (Lutra lutra) le cui tracce sono state rinvenute con una frequenza elevata in varie zone del SIC. E’ probabile che nel sito vi sia almeno un nucleo riproduttivo in base alle seguenti considerazioni:
- Le tracce sono state osservate durante l’intero arco dell’anno, il che fa pensare ad un utilizzo stabile del sito;
- In un’occasione è stata individuata una pista di impronte relativa ad almeno 2 soggetti, aventi dimensioni differenti. L’ipotesi è che potessero trattarsi di un maschio e una femmina oppure un adulto e un giovane;
- Sono noti recenti casi di individui deceduti a seguito di trauma cranico rinvenuti nel SIC; l’esame necroscopico ha rivelato che i soggetti in questione fossero giovani di pochi mesi di età;
I fattori che possono influenzare negativamente la conservazione della specie sono la caccia di selezione al cinghiale, l’apertura/ammodernamento di strade all’interno o in prossimità del SIC, la “ripulitura” dei canali di bonifica, l’abbandono di nasse e reti da pesca in prossimità della foce del Sinni e degli sbocchi a mare dei canali di bonifica.
Elevato valore biogeografico assume, inoltre, il rinvenimento del Barbastello (Barbastella barbastellus), piccolo chirottero tradizionalmente legato alle faggete mature.
Per quanto concerne la classe degli insetti, di particolare rilievo risulta essere la presenza dei due coleotteri cerambicidi Cerambix cerdo e Rosalia alpina; entrambe le popolazioni sono in completo isolamento per mancanza di habitat idonei lungo tutta la costa ionica lucana e verso l’entroterra. In particolare la popolazione di C. cerdo è in netto calo in seguito alla riduzione dei querceti presenti nel sito, che fino agli anni ’50 erano molto più estesi ed in continuità con le formazioni di querce della fascia collinare e montana.
Le osservazioni di specie tipicamente forestali/montane (Picchio rosso minore, Barbastello, Cerambicidi) confermano l’esistenza di antichi corridoi di comunicazione tra i boschi montani e collinari dell’entroterra e il biotopo di Policoro; è verosimile che la presenza di queste specie sia fortemente legata allo sviluppo degli imponenti esemplari di Fraxinus excelsior che caratterizzano il SIC. L’esistenza di tali popolazioni relitte fa si che il sito presenti una non comune mescolanza di elementi mediterranei con entità continentali più tipicamente paleartiche. La conservazione di tali specie non può prescindere da interventi volti al ripristino di corridoi ecologici nelle aree circostanti il SIC, attualmente del tutto prive di elementi di diversità ambientale quali ecotoni arboreo-arbustivi, siepi e filari.
La pianura metapontina è stata bonificata a partire dagli anni ’30, l’ambiente fisico, la copertura vegetazionale e l’uso del suolo sono ancora soggetti a trasformazioni e fenomeni dinamici in larga misura provocati dagli interventi antropici che hanno interessato direttamente (bonifica delle paludi) ed indirettamente (dighe lungo il corso dei fiumi) la pianura costiera ed il medio basso corso dei fiumi lucani con foce nel M. Jonio (Fascetti e Navazio, 2006).
Il SIC è pesantemente influenzato dalle attività antropiche, che in varia misura interagiscono con le componenti biotiche dell’area. In particolare si fa riferimento alle seguenti tipologie di attività:
a) Pastorizia – All’interno del SIC la consistenza zootecnica è elevatissima ( sono presenti circa 1200 bovini e 1300 ovi-caprini). L’ allevamento bovino è di tipo intensivo e i capi di bestiame sono ricoverati in strutture che si estendono per circa 400 metri di lunghezza e 70 metri di larghezza in un’area immediatamente adiacente al sito, e rientranti in parte in esso. L’ allevamento ovi-caprino è di tipo semi-brado. I ricoveri si estendono su una superficie di circa 1000 metri quadri
b) Agricoltura – Agricoltura intensiva svolta sia all’interno del SIC che nelle immediate vicinanze. Diffuse le colture arboree (frutteti) e orticole con impianti di serricoltura concentrati prevalentemente nel settore SUD-OVEST; diffusi anche gli insediamenti produttivi di colture erbacee (foraggiere). Nel settore NORD del SIC è ubicato il centro sperimentale Pantanelli dell’Università degli Studi di Bari, dove vengono praticate numerose colture sperimentali (leguminose, colture officinali, specie da collezione, carciofo ed altre orticole sperimentali). Presso l’azienda opera una struttura periferica del CNR Istituto di Genetica Vegetale che ha istituito con il contributo regionale il Centro per la Conservazione della Biodiversità vegetale mediterranea e quindi con compiti di raccolta, caratterizzazione, moltiplicazione “ex situ” e conservazione del germoplasma vegetale regionale. Diffuse discariche abusive soprattutto di materiale plastico derivante soprattutto dalla gestione delle serre.
c) Bonifica – Interventi di bonifica realizzati a partire dagli anni ’30 del secolo scorso hanno segnato profondamente il territorio, stravolgendo completamente quello che era inizialmente un esteso bosco igrofilo planiziale. Attualmente sono attivi una serie di canali di drenaggio con sviluppo parallelo o perpendicolare alla linea di costa, la cui funzione è quella di raccogliere le acque dolci a monte del SIC e riversarle direttamente in mare. In tal modo contribuiscono, congiuntamente alla riduzione della portata del fiume Sinni dovuta alla costruzione della diga di Monte Cotugno e ad accentuare l’abbassamento della falda freatica superficiale. Tutto ciò comporta un aumento dei processi di degrado delle fitocenosi, le quali si orientano verso condizioni di minore igrofilia con maggiore diffusione di sclerofille.
d) Infrastrutture – All’interno del SIC esistono diverse strutture rurali utilizzate per lo stoccaggio dei materiali, alcune delle quali versano in uno stato di totale abbandono. La componente infrastrutturale più evidente è rappresentata dalla Strada Statale 106 Jonica, che di fatto divide il SIC in due porzioni ben distinte e che costituisce (anche in virtù delle opere di regimazione fluviale connesse) un’imponente barriera biologica. All’interno del SIC, inoltre, è stato realizzata dall’amministrazione Provinciale di Matera una struttura in legno ospitante un piccolo museo naturalistico con annessa sentieristica.
e) Cave – all’interno del SIC esiste una cava di inerti, attualmente in esercizio, situata nel settore Nord dell’area immediatamente a ridosso della SS. 106.
f) Caccia – Nonostante l’area sia interdetta alla caccia dall’istituzione di una Riserva Regionale, è stato recentemente avviato un programma di “caccia di selezione” al Cinghiale, volta a ridurre l’impatto negativo sugli insediamenti agricoli adiacenti il SIC.
g) Interventi di altro genere – Nell’ambito di un progetto “LIFE Natura” è stato realizzato un intervento volto a ridurre l’erosione costiera e a ripristinare il cordone dunale. A tal scopo è stato realizzato un cordone dunale artificiale, avanzato di circa 10 metri rispetto alla situazione precedente. Nell’ambito del medesimo progetto sono stati creati due piccoli stagni retrodunali e alcune passerelle in legno per la fruizione turistica con annessa cartellonistica.
FENOMENI E ATTIVITÀ NEL SITO E NELL’AREA CIRCOSTANTE
Le attività produttive riscontrate nel sito e nelle immediate adiacenze riguardano per lo più la Pastorizia e l’Agricoltura, si riportano di seguito le descrizioni già fornite delle suddette attività:
- Pastorizia – All’interno del SIC la consistenza zootecnica è elevatissima ( sono presenti circa 1200 bovini e 1300 ovi-caprini). L’ allevamento bovino è di tipo intensivo e i capi di bestiame sono ricoverati in strutture che si estendono per circa 400 metri di lunghezza e 70 metri di larghezza in un’area immediatamente adiacente al sito, e rientranti in parte in esso. L’ allevamento ovi-caprino è di tipo semi-brado. I ricoveri si estendono su una superficie di circa 1000 metri quadri
- Agricoltura – Agricoltura intensiva svolta sia all’interno del SIC che nelle immediate vicinanze. Diffuse le colture arboree (frutteti) e orticole con impianti di serricoltura concentrati prevalentemente nel settore SUD-OVEST; diffusi anche gli insediamenti produttivi di colture erbacee (foraggiere). Nel settore NORD del SIC è ubicato il centro sperimentale Pantanelli dell’Università degli Studi di Bari, dove vengono praticate numerose colture sperimentali (leguminose, colture officinali, specie da collezione, carciofo ed altre orticole sperimentali). Presso l’azienda opera una struttura periferica del CNR Istituto di Genetica Vegetale che ha istituito con il contributo regionale il Centro per la Conservazione della Biodiversità vegetale mediterranea e quindi con compiti di raccolta, caratterizzazione, moltiplicazione “ex situ” e conservazione del germoplasma vegetale regionale. Diffuse discariche abusive soprattutto di materiale plastico derivante soprattutto dalla gestione delle serre.
Le attività sopradescritte determinano una forte influenza sulla conservazione delle specie e degli ahbitat prioritari presenti nel sito, in quanto contribuiscono in maniera significativa all’alterazione dei delicati equilibri che regolano gli ecosistemi di riferimento. In particolare si fa riferimento alle seguenti problematiche:
- APPORTO DI NUTRIENTI. Le tipologie di Allevamento e Agricoltura sopradescritte aumentano in maniera significativa l’apporto di materiale organico che, a seguito del dilavamento, giunge ai canali di bonifica e alla zona del bosco sottano, determinando un aumento notevole della concentrazione di Nitrati nel suolo.
- UTILIZZO DI FITOFARMACI. Il massiccio utilizzo di fitofarmaci e pesticidi si riversa a seguito dei processi di dilavamento, nei canali di bonifica. In particolare nei mesi estivi a seguito dell’eccessiva evaporazione, tali composti possono raggiungere elevate concentrazioni, provocando forti danni alle specie insettivore nelle quali si verifica un fenomeno di bioaccumulo, che può provocare forti danni all’organismo. Durante l’estate 2009 è stata rilevata alla foce del Sinni una moria di Rondini (Hirundo rustica), decedute in prossimità del canneto/dormitorio. A seguito dell’intervento del Corpo Forestale dello Stato si è rilevata una forte concentrazioni di tali sostanze nel sangue delle carcasse.
- SMALTIMENTO. Per quel che concerne l’agricoltura, è stata rilevata la diffusa abitudine di interrare abusivamente il materiale plastico derivante dal deterioramento delle strutture per la serricoltura. In alcuni casi è stata osservata la bruciatura del suddetto materiale, con conseguente inquinamento dell’aria, e del suolo.
- Le colture agricole estese sino alla duna nel lato destro della foce del Sinni, provocano una forte alterazione della struttura stessa del litorale, accentuando la già forte erosione costiera.
DETRATTORI- IMPATTI AMBIENTALI
In generale le opere idrauliche finalizzate alla bonifica dell’area continuano a rappresentare il principale fattore di alterazione dell’ecosistema. Si ritiene che tale attività, inserita nel formulario con il codice 890, abbia ripercussioni sull’intera superficie del SIC che assume caratteristiche di xerofilia sempre più evidenti. La progressiva riduzione e degradazione della foresta planiziale igrofila continua anche in seguito all’arresto delle attività di esbosco. In ampie aree del sito è evidente come la macchia mediterranea e altri tipi di vegetazione secondaria più xerofila si estendono in aree originariamente occupate dal bosco (a testimonianza di ciò sono state rilevate numerose piante morienti di pioppo in zone con prevalente vegetazione a sclerofille). Questa tendenza continua a causa del minore apporto idrico dal fiume e dell’effetto drenante delle canalizzazioni presenti in tutto il sito; inoltre si ritiene opportuno condurre puntuali indagini che chiariscano l’effettiva influenza su tale fenomeno esercitata dal prelievo di acque dolci a scopo irriguo. Un eventuale piano di ripristino ambientale dovrebbe valutare la possibilità e la fattibilità di favorire l’aumento della fase di naturale inondazione almeno in quelle aree più prossime al fiume non interessate da attività agricola. Anche il problema dell’erosione marina e della progressiva riduzione del litorale sabbioso è strettamente connesso al ridotto apporto detritico del fiume e quindi eventuali interventi di ripristino della duna dovranno tener conto dell’attuale situazione idrologica.
La presenza di una grande briglia al di sotto della SS. 106 “Jonica”, identificata dal codice 852, costituisce un’imponente barriera ecologica per i pesci che tendono a risalire il corso del fiume. Eventuali misure di mitigazione potrebbero riguardare opere di ingegneria naturalistica volte al ripristino del corso naturale (o seminaturale) del fiume, intervenendo direttamente sulla briglia o a lato di essa.
In prossimità del confine SUD del SIC, inoltre, sfocia a mare in tubo di scarico della centrale ENEA Trisaia di Rotondella, sito di stoccaggio di scorie nucleari provenienti dagli USA. Anche in merito all’ipotesi dell’estensione a mare del SIC, si ritiene opportuno valutare attentamente con l’impiego di opportuni strumenti, il reale impatto di tale struttura, con particolare riferimento al grado di radioattività riscontrato nelle vicinanze.
Altra minaccia rilevante è rappresentata dall'alto rischio d'incendio a causa della fruizione del sito, da cui non sono esenti neanche le formazioni igrofile, che durante la stagione estiva sono soggette a prosciugamento del suolo e disseccamento di una notevole quantità di biomassa, questo rischio solleva importanti questioni gestionali soprattutto del bosco in quanto potrebbero essere prese misure preventive che prevedano la ripulitura del sottobosco per ridurre il rischio di innesco d'incendi. Tuttavia questo tipo di pratiche interferisce in modo rilevante con la conservazione e le dinamiche evolutive del bosco stesso.
All’interno del SIC esistono diverse strutture rurali utilizzate per lo stoccaggio dei materiali, alcune delle quali versano in uno stato di totale abbandono. La componente infrastrutturale più evidente è rappresentata dalla Strada Statale 106 Jonica, che di fatto divide il SIC in due porzioni ben distinte e che costituisce (anche in virtù delle opere di regimazione fluviale connesse) un’imponente barriera biologica. Inoltre all’interno del SIC è presente una piccola rete di strade poderali recentemente asfaltate, che in taluni casi si rilevano particolarmente dannose per le comunità faunistiche, come testimoniato dal rinvenimento di 2 carcasse di Lontra Lutra lutra decedute a seguito di un investimento. All’interno del SIC, inoltre, è stato realizzata dall’amministrazione Provinciale di Matera una struttura in legno ospitante un piccolo museo naturalistico con annessa sentieristica.
All’interno del SIC esiste una cava di inerti, attualmente in esercizio, situata nel settore Nord dell’area immediatamente a ridosso della SS. 106 (codice 301). Sebbene la cava occupi una porzione relativamente esigua del SIC, essa si pone come un imponente barriera ecologica lungo l’asse fluviale del Sinni, situazione aggravata ulteriormente dalla vicinanza della SS. 106 Jonica. Inoltre gli effetti della presenza della cava si ripercuotono inevitabilmente sul resto dell’area, limitando ulteriormente l’apporto di materiale solido da parte del fiume e dunque, in ultima analisi, accentuando la già consistente erosione costiera.
Nonostante l’area sia interdetta alla caccia dall’istituzione di una Riserva Regionale, è stato recentemente avviato un programma di “caccia di selezione” al Cinghiale, volta a ridurre l’impatto negativo sugli insediamenti agricoli adiacenti il SIC.
Nell’ambito di un progetto “LIFE Natura” è stato realizzato un intervento volto a ridurre l’erosione costiera e a ripristinare il cordone dunale. A tal scopo è stato realizzato un cordone dunale artificiale, avanzato di circa 10 metri rispetto alla situazione precedente. Nell’ambito del medesimo progetto sono stati creati due piccoli stagni retrodunali e alcune passerelle in legno per la fruizione turistica con annessa cartellonistica.
L’erosione costiera è tuttora molto evidente, soprattutto alla destra idrografica della Foce del Sinni. Tale fenomeno, espresso nelle tabelle con il codice 900, necessita di un piano di azione urgente e immediato.
In prossimità della cava di inerti, situata al di sotto dello svincolo dell SS. 106 Jonica, è ubicato un sito di estrazione idrocarburi, inserito in tabella con il codice 320. Tale attività, totalmente ricadente nel perimetro del SIC, è da considerare con particolare cautela, soprattutto per le implicazione che a lungo termine potrebbe avere sull’equilibrio del sito. Si suggerisce pertanto, di condurre un’attenta attività di monitoraggio ambientale, tenendo conto di indicatori specifici per valutare: le caratteristiche fisico-chimiche delle acque, le emissioni di gas inquinanti nell’atmosfera, il dinamismo delle fitocenosi e delle comunità faunistiche, con particolare riferimento all’entomofauna.
La gestione dei canali di bonifica con conseguente “ripulitura” delle sponde rappresenta un elevato fattore di rischio per le popolazioni di Emys orbicularis e per diverse specie entomatiche; si ritiene pertanto urgente individuare un’opportuna forma di gestione di tali manufatti.