Gravine di Matera


Carta di identità del sito

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Nome Gravine di Matera
Codice IT9220135
Tipo C
Estensione 6.968,49 ha
Comuni
Province
Habitat
Specie
Note

Habitat All. 1 Dir. 92/43/CEE

Gravine di Matera

Specie All. 2 Dir. 92/43/CEE e all.1 dir. 79/409/CEE

Gravine di Matera



Il territorio del SIC Gravine di Matera” si colloca a sud-est della Città di Matera nella porzione della Murgia denominata di Matera-Laterza (Murgia materana) e si configura come un altopiano interposto tra i territori della Puglia e Basilicata. L’area del SIC è quasi coincidente con il territorio del Parco Regionale delle Chiese Rupestri.

CARATTERI GEOLOGICI ED EVOLUZIONE PALEOGEOGRAFICA

I terreni più antichi che costituiscono l’ossatura dell'area appartengono alla Formazione del Calcare di Altamura (Cretaceo superiore), che affiora più o meno estesamente sia nelle aree più elevate della Murgia materana, quanto sui bordi di quest'ultima anche a quote basse, nella Gra­vina di Matera e nell’ambito delle incisioni che solcano la zona. La composizione e la struttura di questa formazione sono visibili lungo le incisioni e nelle numerose cave che forniscono materiali utilizzati nel settore delle costruzioni. Essa è composta soprattutto da calcari micritici laminati e da calcari con abbondanti resti di Rudiste (BOENZI et alii, 1971). Queste rocce si sono deposte in un ambiente marino poco profondo, corrispondente al dominio paleogeografico della Piattaforma carbonatica apula che, alla fine del Cretaceo e durante la prima parte del Terziario, è stata interessata da dislocazioni tettoniche che ne hanno determinato l'emersione e successivamente lo smembramento in grandi blocchi. Si sono così configurati i lineamenti morfologici più evidenti che caratterizzano le Murge e l'area materana. L'emersione ha prodotto diffusi fenomeni carsici superficiali e profondi, resi manifesti da alcune doline e da diffuse famiglie di micro dissoluzione. Nell’ambito dei singoli blocchi fratturati e sollevati si è avuta la formazione di grandi ripiani e di scarpate più o meno modellate dagli agenti idrometrici. La rete principale di fratturazione si sviluppa secondo direttrici sia appenniniche (WNW-ESE), che antiappenniniche (ENE-SSW), secondo quanto evidenziato da MARTINIS (1961). I blocchi calcarei cretacei più rialzati hanno rappresentato la principale ossatura delle Murge, mentre i blocchi che si sono ribassati nel lato ovest dell’area mediante una sequenza di gradini morfologici, hanno costituito il substrato di un grande bacino marino noto nella letteratura geologica col nome di Fossa Bradanica. Questo dominio paleogeografico nel Pliocene ha occupato l’area racchiusa tra le Murge e la catena appenninica, che si sviluppa in destra del corso fluviale del Basento nel Pliocene.

Uno dei blocchi del Calcare di Altamura che risulta topograficamente più sollevato forma la Murgia di Matera-Laterza, ove ricade il SIC; esso rappre­senta quindi un Horst delimitato a N e a SW da elevate pareti che si immergono quasi improvvisamente sotto i depositi argilloso – sabbioso – conglomeratici della Fossa Bradanica e del Graben di Viglione, elemento quest’ultimo che lo se­para dalle Murge pugliesi. Dislocazioni tettoniche minori sono visibili nelle profonde incisioni che intersecano il basamento calcareo emerso nei dintorni della località Murgia Gattini. Lungo le pareti, infatti, sono ben visibili numerose faglie dirette con rigetti piuttosto modesti (dell’ordine di qualche metro), mentre una fitta rete di frattu­re è presente ovunque il calcare affiora, assumendo un orientamento nello spazio generalmente parallelo ai principali lineamenti tettonici. I bordi dell’Horst sono a diretto contatto con le aree ove affiorano i terreni plio-pleistoceni della Fossa bradanica, più teneri ed esposti all’erosione. La sequenza di questi ultimi è determinata da vari termini che, a partire dal basso verso l’alto, sono:

  • Calcarenite di Gravina;
  • Argille subappennine;
  • Sabbie di Monte Marano;
  • Conglo­merato di Irsina.

Questi materiali si sono deposti sui calcari cretacei a partire dal Pliocene, quando si è verificata la trasgressione regionale durante la quale il mare ha sommerso estese aree carbonatiche (CIARANFI et alii, 1979; PIERI, 1980; IANNONE & PIERI, 1982). Il primo deposito trasgressivo, a contatto diretto con i calcari che attualmente costituiscono il substrato profondo nell'area della Fossa bradanica, è rap­presentato dalla Calcarenite di Gravina (Pliocene superiore - Pleistocene inferiore), nota localmente come “tufo calcareo” e costituita da depositi sabbiosi di mare poco profondo, caratteristici di un ambiente marino litorale. Essa borda le Murge, ne seppellisce i margini ed è formata in prevalenza da calcareniti bioclastiche, ovvero da sabbie calcaree più o meno cementate, composte prevalentemente da frammenti di fossili (IANNONE & PIERI, 1979). In prossimità del contatto con il substrato creta­ceo si possono anche rinvenire livelli di conglo­merati e microconglomerati calcarei.

Nell'area del SIC la Calcarenite di Gravina affiora este­samente sui bordi della Murgia materana, con spessori anche superiori a 50 metri e caratterizza i rioni “Sassi” di Matera. È riconoscibile anche lungo nu­merose incisioni, al di sopra della Formazione del Calcare di Altamura. Altri affioramenti sono stati individuati nel corso dei rilievi di campagna sulla Murgia materana, elemento questo che denota chiaramente le oscillazioni subite dall’area nel Pleistocene inferiore, quando si è manifestata la com­pleta sommersione dell’Horst della Murgia materana. Nell'ambito del SIC i terreni e la sequenza della Calcarenite di Gravina si possono osservare lungo i fianchi di molte incisioni torrentizie e soprattutto lungo la Gravina di Matera, nell'area dei "Sassi" e nelle numerose cave coltivate per l'estra­zione di conci di tufo utilizzati per la costruzione dell’antica città ed ubicate soprattutto lungo la S.S. 7 in direzione di Laterza. Alla fine del Pliocene, in seguito all'avanzare del mare verso est, le aree di sedimentazione del­la calcarenite si sono approfondite e su di esse si sono accumulati sedimenti prevalentemente argillosi di ambiente più profondo denominati nella letteratura geologica con il nome di Argille subappennine del Pleistocene inferiore. Esse sono state rilevate soprattutto nell'area della Fossa bradanica e del Graben di Viglione, mentre piccoli lembi affiorano anche sulla Murgia materana a quote non molto elevate.

Le oscillazioni dell’area hanno subito un’inversione circa un milione di an­ni fa. L'intera area, infatti, che in precedenza aveva subito un lento ma costante abbassamento tettonico, inizia un movimento di vero e proprio sollevamento, che porta quasi in superficie le aree di sedimentazione delle argille, su cui si depositano materiali più grossolani di natura sabbiosa, denominati Sabbie di Monte Marano e depositi litorali prevalentemente ghiaioso-sabbiosi denominati Conglomerato di Irsina. Le Sabbie di Monte Marano ed il Conglomerato di Irsina del Pleistocene medio, sono presenti in piccoli lembi nell'area urbana di Matera, dal Castello alla Colonia elioterapica e nella parte più elevata di Serra Venerdì. Il sollevamento a carattere regionale ha proseguito sino all'O­locene ed ha causato il definitivo ritiro del mare fi­no alle quote attuali. Questo ritiro si è manifestato per stadi successivi, rinvenuti non solo nell'area meta pontina, quanto all’interno della regione, sino alla zona murgiana attraverso una serie di spianate e gradini di abrasione marina del Pleistocene medio-superiore, ben evidenti anche nell’area ove sorge la città di Matera e nell’area della Murgia materana occupata dal SIC. Questi depositi si rinvengono ad una quota di circa 400 m e sono caratterizzati da sedimenti sabbioso-ciottolosi esposti in numerosi affioramenti alla Masseria Murgia Gattini, alla Serra del Visciolo, nei dintorni della Masseria Malvezzi ed alla Serra S. Angelo. La progressiva emersione dell’area ha determinato anche una violenta a­zione erosiva e deposizionale da parte dei corsi d'acqua, con la conseguente formazione di depositi alluvionali, i cui resti si rinvengono anche nell’area della Murgia Materana, dove sono in prevalenza composti da sabbia e ciottoli.

Gli affioramenti sono in prevalenza collocati nelle parti medio-basse della valle del Bradano, nell’area della stazione di Montescaglioso ed anche sui bordi della Gravina di Matera a quote di 400 e 380 m.

CARATTERISTICHE GEOMORFOLOGICHE

L’area dell’ATO 11 si configura secondo caratteristiche geomorfologiche fortemente condizionate dalla litologia, dall’erosione e dalla tettonica e si può, in linea generale, ripartire in due settori: il primo, che occupa la parte centrale dell’area, assume un aspetto tipico dei rilievi rocciosi, con fianchi scoscesi ed una sommità pressoché sub-orizzontale; il secondo è caratterizzato da forme generalmente più dolci perché ricadenti su aree argilloso-sabbiose facilmente esposte all’erosione diffusa.

Nell’ambito del massiccio calcareo sono osservabili scarpate erosive create da superfici di antiche faglie, mentre nella sommità sono evidenti forme di tipo carsico, quali ripiani, depressioni, solchi erosivi e doline di piccole dimensioni. I ripiani costituiscono gli elementi morfologici più estesi, su cui si è sviluppata una vegetazione per lo più endemica. Piano di Trasano, il rilievo de “Il Telefono”, Piano di Murgia Terlecchia, rappresentano tipici ripiani dal profilo suborizzontale, separati da scarpate irregolari di altezza variabile, che in qualche caso supera anche la decina di metri. Queste scarpate corrispondono ad antiche superfici di abrasione marina ed a ripe costiere.

Altro elemento morfologico è rappresentato da solchi erosivi localmente indicato col termine di “lame”, depressioni con fianchi poco acclivi e fondo piatto generalmente occupato da terra rossa. Queste si differenziano quindi dalle vere e proprie “gravine” che hanno pareti verticali e profili a V stretta. Lungo le pareti verticali, come ad esempio avviene in sinistra della Gravina di Matera, si manifestano fenomeni di frana per crollo di elementi calcarei fratturati. Nelle parti più elevate della Murgia di Matera sono infine osservabili delle doline (depressioni dal fondo occupato da terra rossa), in alcuni casi disposte in sequenza, elemento questo che le fa collegare a dislocazioni tettoniche sepolte, ampliate nel sottosuolo sottoforma di grotte carsiche.

Il secondo settore, ubicato prevalentemente nel margine sud-occidentale dell’area, sino nei pressi dell’abitato di Montescaglioso, è occupato da terreni argilloso-sabbioso-conglomeratici facilmente erodibili, con incisioni torrentizie molto ramificate e dai fianchi modellati. Quest’area assume un aspetto tipicamente collinare, un tempo occupata dalla macchia mediterranea, mentre oggi è sede di coltivazioni anche intensive di cereali, vite ed olivo. Le aree argillose sono talora intaccate da fenomeni di modellamento dei versanti, sia superficiali che profondi, che si manifestano mediante colamenti, colate e scorrimenti rototraslazionali.

IL CLIMA 

L’area della Murgia materana ricade in una fascia climatica di tipo mediterraneo semiarido, caratterizzata quindi da una certa incostanza delle precipitazioni idrometeoriche e delle temperature. Per la verifica dei parametri pluviometrici sono stati utilizzati i dati del Servizio Idrografico Nazionale, relativi alla stazione di Matera (1921-1980), periodo in cui il funzionamento del sistema di monitoraggio è stato ottimale e quindi attendibile. In questa stazione la media annua di precipitazioni è di 574 mm, con una punta massima annua di 1031 mm nel 1972 ed una punta minima di 405 mm nel 1961. Le piogge non sono uniformemente ripartite nell’arco dell’anno, ma sono concentrate per la maggior parte nel periodo ottobre-gennaio, mentre nei mesi più caldi di luglio ed agosto tendono a ridursi notevolmente, con lunghi periodi caratterizzati da assenza totale di pioggia (Fig. 1)(o quasi, in questi mesi, difatti, si registrano in media solamente 5 giorni piovosi).

Dal punto di vista bioclimatico possiamo far rientrare questa area all’interno di un tipo Mesomediterraneo umido-subumido (con carattere semicontinentale di transizione), caratterizzato da un’escursione termica di 18,6 °C, temperature elevate che si possono registrare nel mese di agosto (30,7 °C), temperature minime che raggiungono un picco minimo a gennaio (3,05 °C)(cfr. Piano di Gestione e  FORTE et al., 2005).

Il SIC della Gravina di Matera costituisce un territorio di straordinario interesse naturalistico e paesaggistico, in quanto notevolmente diversificato in senso ambientale, elemento ben descritto dai diversi ambienti presenti quali rupi, praterie steppiche e garighe, comunità forestali (a sclerofille e a semicaducifoglie), oltre agli aspetti igrofili caratteristici del fondo delle gravine. Presenta un’oscillazione altimetrica limitata (quota massima 516 m s.l.m.) e ospita ben 8 habitat (di cui 1 prioritario), che vede, pertanto, una notevole concentrazione di habitat relativamente alla superficie stessa del SIC (6968,49 ha). Il presente aggiornamento ha permesso di incrementare ben 6 habitat rispetto ai dati del 2003 (oltre alla reinterptetazione di altri 2 habitat), aggiornamento reso possibile sia dalla disamina della letteratura specialistica esistente per il territorio in questione (tra cui alcuni dati inediti)(MISANO & DI PIETRO) e sia dalla consultazione del Manuale di interpretazione degli Habitat italiani (BIONDI et al., 2009). E’ il caso per esempio dell’habitat 8210 (Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica), fortemente caratterizzante il SIC, che risulta costituito da comunità casmofitiche di  rocce carbonatiche, in precedenza non catalogato nell’aggiornamento del 2003. L’esiguità della copertura indicata (1%) nel Formulario è dipendente dalla forte acclività media in cui la vegetazione espressiva di questo habitat si costiuisce, elemento che a livello cartografico necessariamente determina una stima per difetto rispetto alla sua reale consistenza. Di particolare interesse in questi contesti le stazioni dell’endemica Campanula versicolor e di Carum multiflorum e Portenschlagiella ramosissima. Si segnala il notevole interesse conservazionistico di queste entità, menzionate tra le specie dell’Allegato I della Convenzione di Berna, e tra le specie a rischio d’estinzione della flora vascolare italiana (SCOPPOLA et al., 2005; FASCETTI & NAVAZIO, 2007). Tra le altre specie floristiche di notevole interesse conservazionistico, si segnalano, inoltre, Juniperus phoenicea ssp. turbinata, considerata rara e vulnerabile in Basilicata (FASCETTI & NAVAZIO, 2007). Per quanto riguarda le diverse altre entità floristiche d’interesse segnalate (Quercus calliprinos, Quercus trojana, Salvia argentea, Phlomis fruticosa, ed altre), trattasi di specie interessanti in quanto uniche stazioni regionali e/o taxa di particolare interesse per l’Italia meridionale.

Il territorio del SIC presenta gli effetti di un pascolamento di diverso tipo (bovino, equino, ovino e caprino) prevalentemente concentrato lungo le aree prative periferiche del SIC. Il fuoco rappresenta una minaccia costante per tutta l’area, visti anche gli effetti del suo passaggio nel 1993 e nei periodi successivi (2000, 2001 e diversi episodi nel periodo 2003-2008) che hanno determinato il pressochè totale azzeramento della componente forestale, rimasta ormai relegata in pochi e ristrettissimi siti (Bosco di Lucignano e Bosco del Comune). La presenza stessa in ampie porzioni del SIC di xerogramineti a dominanza emicriptofitica e camefitica (stipeti e scorzonereti) è la dimostrazione del ripetuto passaggio del fuoco su queste superfici nel corso degli secoli, elemento alla base della costituzione stessa di queste praterie secondarie a carattere steppico. Il passaggio ripetuto del fuoco (evento abbastanza comune che si ripete pressoché ogni anno in differenti settori del SIC), secondo quanto raccolto da interviste ai locali e dalle osservazioni effettuate sulla vegetazione, mette seriamente a rischio il recupero delle comunità forestali e la permanenza (residuale) di importanti forme di macchia e cespuglieto (ginepreti a Juniperus phoenicea subsp. turbinata), mentre non sembra alterare sostanzialmente gli habitat 6220 (Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea), esemplificato da forme di vegetazione perenne a mosaico con aspetti terofitici, e 62A0 (Formazioni erbose secche della regione sub mediterranea orientale (Scorzoneretalia villosae)), costituito da vegetazione prativa steppica caratterizzata da Stipa austroitalica subsp. austroitalica. Allo stesso tempo però, non si deve dimenticare che il passaggio ripetuto del fuoco può ridurre fortemente la capacità di evoluzione dinamica delle comunità prative verso forme arbustive a Pistacia lentiscus e formazioni a macchia (alta) più evoluta, e successivamente (negli anni) a forme di foresta (più o meno strutturata) inquadrabili all’interno dell’habitat Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (9340) e/o Quercus trojana (9250).

FAUNA

Il SIC Gravine di Matera presenta un paesaggio molto diversificato comprensivo di habitat naturali e semi-naturali molto differenziati. Grazie anche all’asprezza del suo territorio, formato da imponenti pareti rocciose e profonde gole, il sito risulta di rilevante interesse faunistico per la presenza di specie di notevole interesse naturalistico e conservazionistico. Il SIC è per l’avifauna un importante sito riproduttivo ed un’area di transito e di sosta durante le migrazioni. In particolare si trovano due specie prioritarie, il Grillaio (Falco naumanni) e il Lanario (Falco biarmicus) presenti con popolazioni riproduttive tra le più importanti a livello nazionale ed europeo ed altre specie di interesse comunitario tra cui, per citarne solo alcune, il Nibbio reale (Milvus milvus), il Capovaccaio (Neophron percnopterus) e l’Occhione (Burhinus oedicinemus). Il sito presenta anche una ricca comunità di Rettili ed Anfibi tra cui alcune specie di interesse comunitario come la Testuggine comune (Testudo hermanni), il Cervone (Elaphe quatuorlineata), il Colubro leopardino (Zamenis situla), l’Ululone appenninico (Bombina pachypus) ed il Tritone crestato (Triturus carnifex), quest’ultimo presente nel vecchio formulario standard, ma attualmente non segnalato perché non rilevato all’interno del SIC ma a circa 2 Km al di fuori in un ambiente non naturale. Nell’ambito del progetto “Life Arupa” finanziato dalla comunità europea si prevede nei prossimi anni una reintroduzione del Tritone crestato e del Tritone italico (Triturus italicus).

Per quanto riguarda la classe dei mammiferi la maggior parte delle specie che rientrano nell’allegato II della Direttiva Habitat appartengono all’ordine dei Chirotteri vista la presenza di grotte, antri, caverne e chiese rupestri tipiche del paesaggio materano e luogo ideale di rifugio, ibernazione e riproduzione di queste specie. Si segnala la possibile  presenza della Lontra (Lutra lutra), specie molto importante dal punto di vista conservazionistico, che oltre ad essere protetta a livello europeo è considerata, dalla Red List italiana, una specie in pericolo di estinzione.

Tante sono le criticità rilevate, soprattutto quelle di carattere antropico. Tra le più importanti si segnalano l’inquinamento delle acque del torrente Gravina, dovuto alle più svariate e conosciute cause, e rese evidenti dalle numerose fioriture algali, schiume, ed anche numerosi rifiuti lungo gli argini. Tutto ciò può impattare sulle numerose specie anfibie presenti nell’area tra cui alcune incluse nell’allegato II della Direttiva 92/43/CEE ed anche dal punto di vista trofico per la probabile presenza della Lontra. Visto anche il particolare clima semiarido (e secco), gli incendi rappresentano un costante problema in tutta l’area per le specie animali a minore mobilità (rettili e mammiferi) e per i nidiacei.

La pratica di un’agricoltura intensiva, basata sulle coltivazioni di cereali e culture arboree quali olivo e vite, viene effettuata attraverso lo “spietramento” determinando la scomparsa di habitat steppici, questi ultimi già colpiti anche dall’abbandono del tradizionale pascolo brado a bassa densità. Ciò determina la perdita di habitat trofico e di nidificazione per diverse specie di uccelli di interesse comunitario. L’abbandono delle tradizionali attività pastorali per allevamenti più industrializzati, determina anche la perdita di importanti risorse trofiche per specie come il Capovaccaio ed il Nibbio Reale che si nutrono di animali morti. Si consiglia per questo di utilizzare i “carnai” esistenti, chiusi per mancanza di autorizzazioni amministrative.

Abbastanza usuale sembra essere l’attività venatoria, legata in particolare alla caccia al cinghiale. Quest’ultimo è stato reintrodotto in tempi passati con una specie non autoctona risultata maggiormente invasiva, e ciò potrebbe avere conseguenze su specie di rettili come il Colubro leopardino, già specie vulnerabile e sua possibile preda. In alcune grotte sono stati riscontrati resti di focolai, rifiuti ingombranti e pareti imbrattate, segno di un’abituale presenza antropica. Tutto ciò potrebbe arrecare disturbo ad alcune specie di chirotteri che utilizzano questi siti come rifugio, quindi si consiglia una bonifica dei molti rifiuti presenti ed una maggiore tutela delle aree interessate. Vista la presenza di numerosi individui di questa specie nei dintorni dei Sassi, bisognerebbe effettuare ulteriori approfondimenti nell’area oltre ad un più adeguato piano di monitoraggio di tutte le altre specie presenti nell’area SIC. Se consideriamo inoltre, che l’area SIC rientra nel Parco Regionale della Murgia Materana, quindi soggetta a diversi vincoli di carattere legislativo, sarebbe necessario un maggior controllo sulle aree protette per il rispetto delle norme vigenti in modo da limitare i danni dovuti agli impatti antropici che stanno determinando la trasformazione e la riduzione degli habitat naturali.

ATTIVITÀ AGRICOLA E ZOOTECNIA

Dai dati esistenti nella relazione socio-economica del Piano di Gestione del Parco, emerge una presenza consistente di aziende agricole e zootecniche produttive (circa 60) che occupano una superficie media di circa 50 ettari cadauna.

 

Vocazione aziendale

Numero

Percentuale

Cerealicola

27

44,26

Cerealicola-zootecnica

18

29,51

Zootecnica

7

11,48

Olivicola

3

4,92

Viti-vinicola

2

3,28

Frutticola

2

3,28

Ortofrutticola

1

1,64

Orticola

1

1,64

 

61

100

 

I valori relativi riguardano l’aggiornamento al 2000, per cui si attende l’imminente censimento ISTAT per aggiornare i dati a disposizione. La forma di conduzione più rappresentata è la coltivazione diretta, con indirizzi produttivi prevalenti cerealicolo e cerealicolo-zootecnico. Sulle superfici destinate a seminativi si eseguono generalmente avvicendamenti tra colture cerealicole e colture foraggiere destinate al fabbisogno aziendale. Quelle maggiormente praticate risultano il frumento, l’orzo e l’avena. Considerevole è anche la presenza di arnie per la produzione di miele. Da segnalare l’esistenza di superfici significative occupate da oliveti e mandorleti, che hanno sostituito la primigenia copertura arborea che un tempo ricopriva l’altopiano della Murgia Materana. L’olivicoltura della Murgia Materana, per quanto limitata come estensione, costituisce un elemento importante che ne caratterizza il paesaggio.